Nato nel 1906 a Ponte della Priula (TV)
Nastro 1994/27 - Lato B 17 agosto 1994
Nei primi mesi della guerra vedevamo un prete che andava su e giù per l'argine del Piave, camminando avanti indietro. Lo hanno preso ed era una spia. Dopo tre giorni che l'avevano preso sono arrivati i tedeschi a bombardare il ponte.
Qua c'era la scuola dei bombardieri ed è una storia che non finisce mai. Erano sotto la montagna. C'erano i carretti con le ruote di legno, e la bombarda ha quattro ali, come sa chi l'ha vista. [...]
Per raccontarle la vita che ho fatto in tempo di guerra ci vorrebbero otto giorni, e c'è anche il prete del paese che deve venire a casa mia e vorrebbe farne un diario.
Le dico solo che nel 1917 i tedeschi mi hanno portato a Vittorio Veneto. Da Vittorio ci hanno portato a Gemona, ma Gemona è un paese come Conegliano, e fuori di Gemona c'è Ospedaletto per andar su in Carnia. Da mangiare non se ne aveva e da bere neppure ... e là siamo stati un anno. Ho più mangiato erba io che tre lepri messe assieme; e non solo io, ma tutta la nostra famiglia.
E da Ospedaletto dove ci trovavamo, di qua del Tagliamento dove c'è la montagna alta, c'era "un vigneto di ciliegie", protetto da un muro alto così, sulla cima della quale c'era un metro di rete. Io e mio povero fratello Angelino (Angeìn) ci siamo arrampicati sulla rete, perché le ciliegie stavano per diventare mature, per prendersele ... con la speranza che i padroni delle ciliegie ci trovassero e ci ammazzassero.
Sul forte di Osoppo, di fronte a Gemona, c'erano i tedeschi, e c'era una bella spianata di terra che penso ci sia anche adesso. Io e mio povero fratello, in primavera ... i tedeschi avevano piantato le patate e noi dove si vedeva che i tedeschi avevano messo giù le patate si andava là e le si tirava via con le mani. Se le prendeva e le si mangiava direttamente. I soldati tedeschi ci tiravano fucilate, ma se noi eravamo qua, loro ci tiravano qua, o qua, o qua ... tutt'attorno, senza prenderci, per farci andar via, non per ammazzarci.
A Ospedaletto si era profughi in tre famiglie su tre stanze. Una da Quero, noi e nostro zio Piero Brescancin. E el pòro Toni Brescancin è nato sotto i tedeschi a Gemona.
Nell'inverno che abbiamo passato fra il '17 e il '18 si andava su per Villa Santina, l'ultima stazione in cui arriva il treno. Si partiva il lunedì e si andava su "in elemosina". Si andava mia madre davanti, io a metà e mio povero fratello Angeìn di dietro. La neve era ghiacciata e ci tagliava i piedi perché scarpe non ne avevamo. Mia mamma ci chiamava e noi le si andava dietro come si poteva, e dai piedi veniva fuori sangue.
Se, su di là, durante il giorno si trovavano questi benedetti friulani che ci davano una patata la si mangiava, altrimenti Dio abbia misericordia...
I furlani ci facevano elemosina di farina e mettevano dentro la mano dove avevano la farina. Ti davano quel poco che ci stava dentro al pugno, ma quanta ce ne stava? Alla sera, se si trovava una buona famiglia, ti prendevano a dormire in casa, altrimenti si andava dentro a queste capanne in cui tenevano le bestie e là si trovava un po' di strame e ci si appoggiava tutti e tre in un angolo, io, mia povera madre e mio fratello e là si stava là tutta la notte. Alla mattina successiva si partiva nuovamente per andare in elemosina; questo era su per la Carnia.
D. È morto qualcuno di fame che conoscevate voi?
R. Mio nonno di sicuro, si chiamava Bastian.
Siamo stati un anno senza vedere la farina per fare la polenta.
Noi, una settimana andavamo su per la Carnia e una settimana si veniva giù per il Friuli, San Daniele del Friuli, Pavia, Perocoto.
L'adunata, perché si partiva in sei-sette per andare in elemosina, era alla sera quando andava giù il sole. Ci si radunava al campanile e dal campanile si andava in qualche famiglia che si conosceva e ci prendevano a dormire nella stalla. Pieni di pidocchi che lo sa solo il Signore quanti pidocchi avevamo. Si partiva al lunedì e - in primavera e in questa stagione qua - si andava giù mangiando cavi delle viti [tralci] che si trovavano per la strada o trifoglio per terra, o erba béch, che era un'erba che cresceva lungo un canale oppure nei campi.
Se si aveva la fortuna di vedere dove i friulani avevano piantato le patate, in questa stagione qua, [...] noi si andava a prendergliele. E se ci avessero trovati, beh, non ci sarebbe dispiaciuto che ci avessero ammazzato. Se c'era un campo di pannocchie si prendeva la pannocchia, la si scartocciava, si prendevano i granelli e li si mangiava così. Questa è la vita che ho passato.
Quando siamo ritornati in paese non eravamo capaci, io e mio fratello, di rimetterci in forze. E lei avrà sentito nominare che c'era il prof. Tramontini a San Polo. Mia mamma ci ha portato, sempre a piedi, dal professore, e il professore dopo averci visitato ha detto a mia mamma: «Signora, i suoi figlioli sono sani perfetti; se sono magri - perché si vedeva l'acqua scendere giù per il gozzo - sarebbe bene solamente se riusciste a trovare qualche pezzo di pane e qualche bicchiere di vino nero. Dargli da mangiare pane e vino, che si rimettano e facciano sangue.»
Sempre quando sono ritornato, lungo l'argine del Piave c'erano le trincee in cui c'erano stati i tedeschi...
Quando siamo tornati da Gemona, siamo tornati a piedi, tanto non avevamo roba da portarci dietro. Perché non si aveva niente se non quei pochi stracci che si aveva addosso. Siamo venuti qua e siamo andati lungo l'argine ... e là c'era il più bel fiòl che ho visto. Morto. Un bel biondino, un bel fiòl, e con il freddo che c'era (siamo tornati indietro nel mese di dicembre) era ancora là mezzo ghiacciato.
A casa nostra c'era stato il comando tedesco. Avevano tirato via tutti i travi della casa e avevano fatto un bunker sotto la casa, perché le granate degli italiani passavano sopra la casa. I muri sono rimasti sani e salvi. Abitavo in Strada vecchia, attuale via Pascoli. Era una strada larga due metri [a cinquecento metri dall'incrocio di Ponte della Priula].
Il paese di Ponte della Priula ... mi ricordo che prima di partire c'erano sei case, compresa la stazione.
«C'erano tante di quelle bombe e di quelle granate che solo Dio lo sa. Qua c'era tutta una buca.» [Interviene un altro avventore del bar in cui viene registrata l'intervista]
C'era un campo, e lo chiamavano "Campo delle munizioni". Sono andati a raccogliere tutte queste bombe con le trattrici. Gli italiani con i prigionieri tedeschi. Attaccavano tre rimorchi e andavano in giro a raccogliere queste bombe, là nella nostra terra. Non lo ricordo più di preciso, ma in diversi buchi di granate, ci stavano dentro - non voglio dire un'esagerazione - ma venti-trenta quintali di bombe da 149 che erano alte così ... o altri proiettili.
Una volta le trattrici erano cingolate e i rimorchi avevano le ruote di ferro. Là fuori di casa nostra, fra i prigionieri tedeschi [austriaci] uno ha cercato di saltar giù... - una volta si aveva tanta fiducia sul Signore - saltar giù dal rimorchio ed è scivolato sotto le ruote. Io sono andato là, mi son fatto il segno della croce e mi sono inginocchiato a pregare, perché dicevano i nostri vecchi che uno quando sta per morire così, è bene raccomandargli l'anima. Il soldato è morto. Gli era passato sopra il rimorchio carico di bombe.
Qua c'era il "Campo delle munizioni", e chissà quante migliaia di quintali di bombe che c'erano. Poi le bombe le portavano via.
[Interviene un altro avventore del bar: con le scavatrici anche al giorno d'oggi, nel Piave si trovano delle bombe].
Tanti nel paese si sono fatti male e sono morti, sono rimasti uccisi con le bombe.
Come chiesa giù al Ponte c'era una baracca e veniva il prete da Campolongo. Lo portavano qua con il cavallo, e intanto che si vestiva diceva messa e dopo, quando era a metà messa, veniva il treno da Montebelluna. Quando il treno passava di là i macchinisti davano una suonata e ... avesse finito la messa o fosse a metà messa, il prete si faceva il segno della croce, si tirava giù i vestiti e andava a prendere il treno per tornare a Conegliano. Quella era la chiesa.
Scuole non ce n'erano. Lungo la strada vecchia, c'era invece il Lazzaretto, dove venivano i soldati italiani con tifo e brutte malattie. E là c'era un frate che gli faceva da mangiare e li curava. La casa c'è ancora.
Alla prima domenica di ottobre andavo a messa in questa baracca, venivo su per la strada io e mio fratello, sempre a piedi ... e sentiamo un'esplosione, un colpo grande, da Tòjo. Nel cortile c'era un fighèr, e suo zio di Tojo, Chéchi, lui e mio povero compare, stavano segando un 149, perché la polvere che c'era dentro la vendevano a quelli che cavavano crode. A questo 149 è partita la spoletta, è scoppiato, ha preso sto pòro Chéchi in pieno, gli ha tirato via tutta la pancia e la testa. Le budella sono andate fuori.
Subito finita la guerra venivano i prigionieri tedeschi [austro-ungarici] e le granate che erano fuori uso le buttavano sotto nel fondo di una buca e poi ci buttavano sopra terra e chiudevano il tutto.
Quando sono ritornato da profugo, quanti soldati tedeschi, quanti soldati italiani - in gran parte arditi, che erano quelli che venivano mandati avanti quando c'era da fare un'avanzata - e di questi arditi quanti ne ho visto appesi sui reticolati!
Io sono ritornato un po' prima della fine dell'anno, e c'erano ancora questi soldati appesi ai reticolati. [E sono rimasti là] finché sono venuti a tirarli via. E chi c'era che passava a tirarli via prima? ... Quello che non ho visto non glielo dico...
E quando i tedeschi volevano passare, qua, su quel de Fadalti [sul terreno di Fadalti], ha mai sentito nominare che hanno seppellito non so quante migliaia di tedeschi e poi i pantegani sono andati giù a mangiarli?
Intervengono altri avventori.
«Chi ha inventato la Canzone del Piave? Un napoetàn a Saét!» (un napoletano, a Saletto di Piave!).
E un altro: «Mio suocero fu uno dei primi aviatori, si chiamava Menegon Luigi, ancora prima di Baracca, nel 1916. A Colfosco, nel monumento, c'è una raccolta di fotografie che lo ricordano.
Quando siamo partiti da qua - riprende a parlare Brescancin - per prima cosa siamo andati profughi a Barbisano. Siamo partiti alla mattina alle sette, con una mussa che faceva tre passi ... e sono arrivato a Barbisano alla sera che era scuro. Sul carretto avevo una luja [scrofa] e 11 maialini. La scrofa legata dietro al carro e i maialini sul carro in un mastello. Lungo la strada la scrofa sighéa [piangeva, urlava] perché voleva dare da mangiare ai suoi figli e i maialini gridavano perché avevano fame. Poi finalmente [siamo arrivati] a Barbisano.
Si aveva una vacca - che dopo i tedeschi ce l'hanno ammazzata - e si va fuori con questa vacca io e me pòro fradèl Angein. Gli italiani stando sul Montello ci vedono a pascolo con questa vacca e ci tirano uno sdrapnel e qua sul polpaccio sono stato preso da una pallina di sdrapnel. Fino a poco tempo fa si sentiva ancora il buco.
A raccontare dall'inizio tutto quello che mi è successo ci vorrebbero otto giorni.
Da Barbisano sono venuti i tedeschi con i cavalli e i loro carretti che avevano e ci hanno portato a Vittorio Veneto, dove ci hanno scaricato e poi caricato su un treno e ci hanno portato a Gemona. Da Gemona, ancora con i cavalli, ci hanno portato fino ad Ospedaletto.
A Vittorio Veneto siamo rimasti per alcuni giorni.
La scrofa e i maialini a Barbisano, i tedeschi poi ce l'hanno presa, senza darci nessuna carta, né soldi né niente.
Sui danni di guerra non le so dire, perché allora io ero giovane. Qualcosa comunque ci hanno dato.
Intervengono altri avventori. A Santi Angeli del Montello - dove c'è l'osteria - c'è un ex negoziante del luogo, ora trasferito a Montebelluna, certo Trevisiol, che ha visto gli arditi partire al contrattacco chiedendo «dove sono i tedeschi?» Erano arrivati "pieni", carichi di cognac, perché andavano all'arma bianca, e non facevano prigionieri.
Brescancin mi dice che conosce molto bene Cochi Basei di Santa Lucia [altro intervistato] «perché un tempo facevo il commerciante di maiali, e lui era un mio fornitore.» [...]
Nastro 1994/36 - Lato A
Aggiunte e precisazioni, 26 settembre 1994
Mia mamma si chiamava Angela Baso e mio papà Brescancin Bortolo. Hanno avuto sei figli. Io mi sono sposato con Pompeo Virginia nel 1928 e ho avuto cinque figli.
Ho sempre lavorato la terra e in più ho fatto un po' il commerciante di maiali.
C'era uno vestito da prete che andava su e giù per l'argine e poi sono venuti i tedeschi a bombardare il ponte; hanno fatto cadere le bombe che però hanno fatto poco danno al ponte e i "bombardieri" - a Ponte della Priula c'era la "Scuola Bombardieri" - gli hanno tirato con il fucile. A un apparecchio hanno rotto il serbatoio di benzina tanto che è stato costretto ad atterrare qua nella proprietà dei Collalto, e il pilota si è salvato. Questo episodio è avvenuto ancora all'inizio della guerra.
Da profugo si mangiava l'erba che si trovava: bruscandoli [germogli di luppolo], cavi delle viti, erba che cresceva da terra, radicèe [tarassaco]. Per dirle, si partiva da Gemona e si andava su per la Carnia, Villa Santina, Tolmezzo su di là "in elemosina". Mia mamma davanti, io in mezzo e mio fratello dietro. Scalzi, con la neve per terra, ghiacciata e i piedi si screpolavano [i se crepéa] tutti. Dai piedi veniva fuori sangue [...] e se alla sera si trovava buona gente ci prendevano a dormire in qualche banda [parte], altrimenti ci si riuniva in un angolo di queste casere e là si dormiva tutti tre.
Si parla della Carnia.
Se parliamo invece di Pavia, Perocoto, San Daniele del Friuli, quando si veniva giù per di qua ... al lunedì sempre e si tornava indietro al sabato. A San Daniele del Friuli c'era il posto di blocco e [...] quando si tornava a casa al sabato di sera, se si trovava buona gente si riusciva a passare, altrimenti ci prendevano la farina e tutto. «L'era fame anca par lori».
È arrivata la stagione dell'orzo e i tedeschi lo hanno tagliato e facevano il pane, ma siccome c'erano dentro dei pezzi di paglia e di spiga non si riusciva a mandarlo giù, bisognava ciucciarlo in bocca e poi sputarlo fuori.
Un'altra cosa che ho sempre in mente. A Gemona attaccavano tre [prigionieri] russi sotto ai carretti, che avevano le stanghe e ci mettevano un bacchetto davanti (tipo giogo). Un prigioniero in mezzo alle stanghe e uno parte per parte; così portavano quello che c'era da portare dalla stazione alle varie parti. Una volta un russo ha detto a una ragazza che avrà avuto 18-20 anni, in questo paese di Ospedaletto: «polenta, polenta». Questa povera ragazza ha preso un pezzetto di polenta, l'ha portato fuori e sua madre ha preso un bastone e ha dato una botta sulla testa alla figlia e l'ha accoppata. [?] L'ho vista per terra, morta. Il soldato era un ragazzo, e a lei ha fatto pecà [pena]. Sua madre le ha dato una bastonata e l'ha ammazzata. Verità.
[Mio fratello] Toni, del 1918, è nato a Gemona, ed è morto 10 anni fa.
Eravamo profughi a Barbisano e gli italiani stavano sul Bosc del Montel. Io e me poro fradel si andava "a pasto" con due vacche. Gli italiani ci tirano quelle pallottole di piombo e una pallina si è piantata qua dentro nel polpaccio.
I tedeschi da Barbisano ci hanno portato a Vittorio Veneto e da Vittorio a Gemona. A Gemona eravamo insieme a mia zia Marietta Teresi originaria di Colle Umberto, moglie di Piero, che dopo Caporetto aveva dovuto andare di là del Piave con gli italiani [bando Cadorna] lasciando di qua la moglie "in stati" [incinta].
08:38 [Ritirata di Caporetto] Ricordo che noi boce si andava giù al ponte [della Priula] a vedere questa gente che passava il ponte e andava di là. Passavano sul ponte i carri [affiancati] per tre, e un soldato - c'era la Piave alta - ha fatto un salto giù dal ponte, perché di là c'era un posto di blocco. I soldati venivano fermati e radunati. Questo soldato l'ho visto che è saltato giù dal ponte, è andato dentro nell'acqua, e l'acqua era torbida e non l'ho più visto. (AUDIO brano selezionato)
Noi bambini andavamo a vedere là sul ponte. Mia mamma aveva male a un piede e noi una volta si era così ... lasciati a noi stessi [...]. Abitavamo anche allora vicino all'argine, qua in via Pascoli.
Sul ponte si vedeva questa gente che andava avanti a stentón, a strappi.
Di ritorno da profugo ho trovato davanti alla mia casa le trincee sotto l'argine, e c'erano queste stanze, questi rifugi.
C'era ancora un soldato, un bel figliolo biondo, che aveva del sangue sul naso, là per terra morto.
Quando noi siamo tornati sarà stato nel mese di dicembre, verso le feste di Natale [del 1918]. I prigionieri tedeschi erano qua e lavoravano a raccogliere le bombe e a chiudere le buche delle granate. Il paese era distrutto. La nostra casa era priva di travi e sotto c'era il comando dei tedeschi.
Esplosione da Tojo [recuperante].
Tojo era uno che assieme a un mio zio (fratello di mia mamma), a mio compare Cice Menegon (chiamato Cice Can) e ad altri, andava a raccogliere i 149 e con la mazza faceva saltare la spoletta. L'esplosivo che c'era dentro (una polvere gialla) lo vendeva a chi andava a cavar crode, qua dalle nostre parti, sulle rive.
Sul ponte i preti avevano tirato su una baracca-chiesa. C'era un prete basso e moro che veniva a dire la messa da San Vendemiano col treno che da Conegliano andava a Montebelluna. Quando era ora di tornare indietro i macchinisti suonavano e sia che avesse finito sia che stesse ancora celebrando la messa lui lasciava là tutto e partiva. E noi, dopo questa poca messa che si riusciva a prendere, venendo su dalla strada abbiamo sentito un gran colpo. Siamo corsi là dov'era avvenuta l'esplosione e abbiamo trovato mio compare Cice e lo zio di Tojo Videsch (soprannominato da Cariot) [...] questo proiettile lo aveva preso dal basso e gli aveva aperto tutta la pancia fino alla testa, ed era là per terra buttato giù.
Nella raccolta delle bombe, erano impiegati i prigionieri austriaci, che buttavano le granate dentro queste grandi buche e poi le coprivano con terra e le lasciavano là.
Questi prigionieri andavano su per le campagne, per di qua e per di là con le trattrici e due o tre rimorchi attaccati dietro, a raccogliere bombe e granate. Passavano per la strada e facevano tam tam tam tam. Molto piano, 1 km all'ora ... e un prigioniero tedesco era seduto su questo rimorchio. Ha fatto per saltare giù ed è scivolato sotto le ruote, che erano di ferro. Quello della trattrice si è fermato e io sono andato là vicino. Una volta si era molto più religiosi di adesso, "se credea tant nel Signor", e io vestito come adesso, descòls [scalzo], sono andato là dov'era questo povero soldato sotto le ruote del trattore e mi son messo a recitare una requiem eterna, perché dicevano che quando uno stava per morire era bene presentargli l'anima al Signore. Credo di aver fatto un'opera di bene ... e i cinque soldati tedeschi a vedermi non si sono neppure mossi.
Quando c'è stata la battaglia del Piave [giugno 1918] i tedeschi sono passati di là del Piave sulla terra di Fadalti, dove il Piave è vicino all'argine. Mi ricordo che dopo tornati andavamo vedere quel posto. Avevano seppellito in grandi buche queste migliaia di soldati e si vedevano i pantegani scorrazzare: avevano fatto dei buchi e andavano giù a mangiare.
Quando siamo partiti per Barbisano abbiamo utilizzato una mussa che sarà stata più vecchia di quanto non lo sia io adesso. Faceva «tre passi su na piera cota», cioè andava pianissimo.
Mia mamma era ammalata a un piede ed era seduta in stalla. Avevamo una mussa e si aveva una scrofa che aveva undici maialini. [Un giorno] mia mamma ha detto ai miei fratellini più vecchi che aveva trovato di andar profughi a Barbisano, e ci ha portato da questa famiglia che si chiamava Balliana ... e c'era una ragazza che si chiamava Palmira, ricordo. Là siamo rimasti circa un mese, poi i tedeschi ci hanno portato via.
La mamma ci ha detto di andar via con la mussa, e con un mastel da lissia [lisciva, bucato], con dentro gli undici maialini. Io sono partito alla mattina e sono arrivato su a Barbisan alla sera, e saranno dieci chilometri. I maialini nel mastello gridavano [i crièa] perché volevano mangiare e sua madre [a lùja] - legata dietro al carretto - gridava perché voleva dare da mangiare ai maialini e io che "paravo via" questa mussa. Ma che non camminava! Che non andava avanti, perché era vecchia.
[Nel 1918] quando siamo venuti giù da Gemona, si andava nella Piave e c'erano gli arditi italiani. Vestiti di nero, erano appesi sui reticolati, morti, ancora là. Sono andati a tirali via dopo molto tempo.
Nel 1945 hanno bombardato il ponte della Priula. Qua in casa c'era la cucina economica, avevamo due figli uno di otto anni e un altro di sei sette [...] e sopra la tavola si è formato un centimetro di polvere.
Eravamo in sei fratelli, e i più vecchi comandavano. Una festa [una domenica] chiedo a mia madre cosa ci fosse da mangiare e lei mi ha detto: fagioli. Allora io prendi e vado giù in una buca del Piave, con il badile, il crivello e una secchia. Ho chiuso e buttato fuori l'acqua per prendere una branca di pesce per mangiare (perché c'erano solo fagioli) e quando ho quasi finito di buttar fuori l'acqua arriva uno della mia età sui 12-13 anni. Io ero vestito male, con un paio di scarpe da soldato, e lui era vestito peggio di me. Gli chiedo chi fosse e lui non mi dice niente e non risponde. Mi ha fatto pecà, l'ho portato a casa con me e abbiamo mangiato il pesce con la polenta.
Il ragazzo è rimasto con noi dalle feste di Natale fino al mese di giugno finché una volta mia mamma mi ha mandato a fare la spesa a Susegana. Io sono andato di sopra a prendere cento lire e lui - passando per andare a portare la foglia ai bachi da seta - ha visto dove io avevo preso i soldi. Alla sera, dopo essere venuto a letto con me e mio fratello, si è alzato ed è andato a prendere mille lire che erano nascoste sotto il cuscino di mia madre. Alla mattina dopo è scappato.
Io ho avvertito mio fratello D. di questo furto - dopo che mia madre aveva detto a D. di andare a prendere le mille lire che c'erano sotto il cuscino per andare a Montebelluna a comprare una vacca al mercato, e D. non aveva trovato i soldi. Mio fratello è andato dai carabinieri a denunciarlo ... e infatti il ragazzo dopo due giorni, a Paese, è andato a prendere delle sigarette con le mille lire, e il tabacchino ha chiamato i carabinieri che hanno arrestato il ragazzo. Così siamo ritornati in possesso dei mìe franchi.
Nastro 1994/36 - Lato B
Mio fratello mi ha minacciato, in seguito a questo furto, che le mille lire se le sarebbe trattenute nell'eredità. Ma cosa ne potevo io?
Nel 1929 quando è passato il ciclone, e ci ha buttato giù la casa, tutti quanti gli abitanti qua attorno sono venuti ad aiutarci a rifarla su. Però il materiale abbiamo dovuto pagarlo e per prendere i soldi per pagare 'sti debiti sono andato operaio in Francia, e là mi hanno detto che ero fascista.
Ero a fare una diga ... [il racconto prosegue su un'altra pagina]