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martedì 20 aprile 2010

Intervista a Giovanni Dell'Agnolo

Intervista effettuata il 17 agosto 1999 in Valsugana orientale nel corso di una ricognizione alla ricerca del vecchio confine fra il regno italiano e l'impero austro-ungarico.


Giovanni Dell'Agnolo, nato nel 1933 a Martincelli (Grigno, TN)


Nastro 1992/2 - lato B


Il vecchio confine sarebbe stata un'osteria... adesso non si vede più niente...
D. Ma non è rimasto neanche un cippo?
R. Ce n'è uno, se lo vuol vedere, deve andare vicino al depuratore, a Pianello, Pianello di Sotto per la precisione, verso la ferrovia e il Brenta; poi ce ne sarebbe un altro nell'orto di mio cugino.
Le montagne che sono qui sopra, sono di Cima Campo, quella con il forte,  mentre oltre il Brenta c'è il forte Isser [Lisser].
Durante la prima guerra mondiale gli abitanti di Martincelli sono stati tutti a Napoli, e quando sono tornati a casa vedevano sopra di loro le stelle, perché non c'era né tetto né niente, come quelli del Kossóvo adesso. I muri però erano in piedi. Le campagne erano piene di baracche, bombe e roba di guerra, e basta. Questo me lo diceva mio papà, Dell'Agnolo Giovanni, che aveva lo stesso nome mio.
Italiani, ciapài col s'ciòpo, così ci consideravamo noi, dopo la prima guerra.
I gendarmi, appena finita la guerra chiedevano ai nostri vecchi: «Allora come state? State meglio adesso o sotto l'Austria» e loro dicevano: «Ma sotto l'Austria, sacramento!»

     Mi ripete una canzone che aveva sentito dai suoi.

     E' morto o general Cavaglia
     per conquistar u Trentina, tutto sassa...

D. Ma tanto bene stavate sotto l'Austria ... e poi vi toccava lo stesso emigrare?
R. Ma, forse c'era più disciplina. Dicevano che c'era un gendarme a Borgo e che lui da solo sorvegliava tutta la Valsugana. Uno solo. Adesso invece ad ogni paese c'è una caserma, e ancora...

Vado a fotografare il cippo di confine. Si trova giusto di fronte al cancello d'ingresso del depuratore di Pianello di Sotto.

*** 
Cippo di confine Austria-Italia a Pianello TN - Lato Impero d'Austria
Sopra: 17.8.1999 - Sotto: 31.3.2012



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 Cippo di confine Italia-Austria a Pianello TN - Lato Regno d'Italia
Sopra: 17.8.1999 - Sotto: 31.3.2012





Per individuare il contesto in cui il Termine confinario si trova, vedi
http://www.youtube.com/watch?v=jvTOlZ2tikI




*** 

lunedì 19 aprile 2010

Incontro con Benito G.

Martincelli, frazione di Grigno TN, ex confine italo-austriaco (ora fra Veneto e Trentino)

Martincelli (Grigno - TN, Valsugana) 
La sbarra di confine fra Regno d'Italia e Impero Austriaco
in una cartolina d'inizio '900. (G.c.  Agritur Al Vecchio Confine - Martincelli)

Nastro 1999/2 - Lato B                                17 agosto 1999 

Mi mostra le montagne che circondano la sua casa (sulla riva sinistra del Brenta) e sono tutte bucate. Loro chiamano i stòi... 
«Li conosco tutti quei buchi là. Li avevano fatti i tedeschi. Le montagne sono tutte bucate, ci avevano messo i cannoni per sparare; sarà circa un centinaio di metri di dislivello sopra la strada. Là c'erano cannoni, mitraglie».
Mi porta dentro in casa, che è anche un piccolo agriturismo e mi mostra la foto di suo nonno che, come lui, si chiamava Benito e si è fatto dieci anni con l'esercito austro-ungarico.
Mi mostra la foto (cartolina) con la sbarra di confine, foto che è stata ripresa dall'Italia. La casa c'è ancora, ammodernata; non c'è più il "gabbiotto" (la garritta), perché è stato abbattuto per ben tre volte da Zorzi di Fastro (BL) quando passava di qua con i suoi camion rimorchio (... quando ancora non c'era la superstrada).
I padroni del bar che è rappresentato nella cartolina gestiscono ora il bar-albergo grande che c'è più avanti nella Valsugana verso TN a San Giorgio (loc. di Tezze) e anche loro si chiamavano G.
Anche adesso lui chiama quelli di là del confine i taliàni... 
«mentre quelli di Bassano, quelli di là, ci chiamavano tedeschi, tedeschi ciapài col sciòpo nella guerra del '14-'18»
D. Si stava meglio sotto l'Austria o sotto l'Italia, da quello che lei sentiva dire dai vecchi?
R. I tedeschi erano più netti, più sinceri; magari si mangiava una patata, ma sinceri. Adesso abbiamo la mafia; i terroni, si fa per dire, non hanno mai lavorato. Con l'Austria invece c'era più sincerità, più tutto.

Davanti alla casa ha un porta-fiori costituito da un tronco di pero alto circa 80 cm e di 40 cm diametro, peri di San Giacomo, albero che era di un suo cugino e che avrà avuto un trecento anni di vita. «Erano pere che venivano mature a giugno, i primi peri. Facevano anche la sagra dei peri, per l'occasione, una volta».
Di quel tronco è ora pentito di averlo tagliato così basso, lui e suo cugino, che ha utilizzato la propria parte per far legno da bruciare. Gli sarebbe piaciuto di più farne una statua, qualcosa di bello, ma ormai...
«I tedeschi hanno perso la guerra dopo Caporetto, a causa di un tradimento. Sono venuti giù che avevano fame (l'ho sentito dire anch'io ... eh!) e hanno trovato da mangiare e bere, si sono ubriacati. E poi sul ponte... 
Se non ci fosse stato questo tradimento i tedeschi avrebbe mandato gli italiani fino giù sul mare. Oh il tedesco! non è mica come l'italiano! Il tedesco come guerre è fantastico, loro vanno avanti sempre con la disciplina, mentre l'italiano se ne frega».

Intervista a Guerrino Fattore

Intervista effettuata il 17 agosto 1999 in Valsugana orientale nel corso di una ricognizione alla ricerca del vecchio confine fra regno d'Italia e impero austro-ungarico.

Guerrino Fattore, nato il 10 dicembre 1914 a Belvedere di Tezze Valsugana

Nastro 1999/2 - Lato A

Mi ricordo tutto quanto. Sono stato anche profugo ad Altavilla, in provincia di Avellino, da subito, appena iniziata la guerra.
Qua durante la guerra cadevano altro che bombe! Eravamo sotto l'Ortigara ... lo vede, è là, quello che si vede là [verso sera]...
Quando siamo tornati indietro da profughi abbiamo trovato il paese tutto rotto, tuto spacà.
Il confine, da qua, è a quattro anche cinque chilometri verso giù, a Martincelli, ma ormai sul confine non c'è più nulla.
Mio padre, quando è scoppiata la guerra con l'Italia, era in Russia, perché noi si era austriaci, e allora, da diciotto anni in su erano tutti in Russia.
Mio padre è stato ferito e poi ha avuto la grazia di venir a casa.

Fattore travasa del vino da una damigiana a una caraffa: «È mio!»
- E che vino è?
- Bacó!, ha pochi gradi, solo nove; e non ha neppure bisogno di trattamenti. 
È bacó con grinto...

Finita la guerra quando i tedeschi in ritirata sono andati fino al Brennero, sono arrivati di nuovo i taliani.
[All'inizio della guerra] gli italiani, hanno preso gli abitanti di tutti questi paesetti e li hanno sparsi per l'Italia. 
La mia famiglia, io e mia mamma, un'altra sorella, del '12 (Antonietta Fattore) ... mia mamma invece si chiamava Maddalena Dell'Angelo in Fattore. La nostra famiglia l'hanno portata ad Altavilla in provincia di Avellino. Ci hanno portati direttamente laggiù con il treno merci, partendo qua dalla nostra stazione di Tezze (Ae Tése) «cargài su come le bèstie, nei vagoni bestiame» e con un sacchetto ... come ha fatto Hitler con gli ebrei. 
L'ho visto anche in Germania un pochino, al tempo della guerra seconda, perché ho fatto anche quella, io. In Germania tutto il tempo: Francoforte, Monaco. Sono andato dentro come operaio, oppure sotto un contadino, perché Mussolini e Hitler si erano messi d'accordo. E in quell'occasione sono andato dentro (in Germania), nel '38; prima che cominciasse la guerra.
In precedenza, nel '34, sono stato militare a Trento, nel 4° artiglieria pesante campale, obice 149. Dovevo fare tre mesi di militare e dato che ero il più vecchio della famiglia (escluso mia sorella che era più vecchia, ma non contava) e in più mio padre era anziano...
Ad Altavilla siamo rimasti finché è finita la guerra. Io ero piccolo ... mentre mia mamma, mio nonno e mia zia aiutavano la famiglia presso cui erano ospitati. 
Dove abitava la nostra famiglia i padroni avevano una fabbrica di zolfo ... e là siamo rimasti finché è finita la guerra.
Poi siamo ritornati indietro e abbiamo trovato tutto spaccato, tutto aperto. Non abbiamo trovato più niente. C'erano stati i bombardamenti [...] qua sopra sull'Ortigara, e non abbiamo preso gnanca cinque schèi di contributi... E quando mio padre è tornato dalla guerra in Russia (erano tre fratelli), in Galizia, Russia, neanche uno morto, ma con varie ferite... 
Abbiamo trovato tutto rotto e non abbiamo neanche potuto dire niente. C'erano solo i muri...

Noi quelli giù verso Primolano li chiamiamo italiani, perché noi altri eravamo invece tedeschi.
D. Si stava meglio sotto l'Austria o sotto l'Italia?
R. Beh, insomma, in tutti i modi si stava più bene sotto l'Austria. C'era da mangiare e da bere, e dopo quando è finita la guerra non si stava più bene, e basta.
I nostri vecchi andavano a lavorare in Austria, a Innsbruck.

Nastro 1999/2 - Lato B     
                        
Noi chiamavamo quelli di Primolano "italiani" e loro ci chiamavano "tedeschi, austriaci"; insomma in tutti i modi noi si voleva più bene alla nostra patria. 
Come tu adesso che hai una casa tua, hai più caro andare in un'altra famiglia o stare in casa tua?.
Il 10 dicembre compio 85 anni...

domenica 18 aprile 2010

Intervista a Lina Dell'Agnolo e Oliva Novello

Nate entrambe a Grigno (TN), rispettivamente nel 1920 e nel 1912

Intervista effettuata il 17 agosto 1999 in Valsugana orientale nel corso di una ricognizione alla ricerca del vecchio confine fra regno d'Italia e impero austro-ungarico.

Nastro 1999/2 - Lato A

Novello. Qui gli abitanti all'inizio della guerra sono stati mandati tutti a Torino. Io avevo tre anni quando mi hanno riportato in paese.
Hanno subito evacuato tutto il paese, perché noi eravamo sul confine; al ritorno abbiamo trovato tutte le case giù.
Ci hanno costretto ad andar via, a Torino e in altre parti d'Italia. Qui sono venuti i soldati e quando io sono tornata a casa non c'era più né la casa né niente e ci siamo sistemati nelle baracche. C'erano tutte baracche, solo qualche casa era rimasta ancora utilizzabile. Noi siamo stati nelle baracche finché hanno ricostruito. Noi la guerra l'abbiamo fatta dal '14 al '18. Però i miei, quando sono tornati hanno trovato ancora la casa.
A Torino abitavamo nelle case operaie e i nostri lavoravano in fabbrica, ci davano lavoro ed erano bravi. Guardi, mia mamma, mi ricordo che mi raccontava, andava a lavorare in una fabbrica di marmellata e le avevano dato la casa lì, «dal '14 fino al '18»; come noi adesso con gli albanesi. Ma noi allora ci si comportava meglio, e poi si sentivano i nostri genitori che erano contenti, perché ci hanno dato il lavoro e ci hanno dato la casa. I nostri profughi sempre comportati bene, mica come quelli che vengono adesso.

Le due donne mi consigliano di andare da un certo Menio. Una mi chiede se a Treviso conosco un certo oculista Minati, che è tanto bravo. Scatto una foto...

D. E' vero che chiamavate «italiani» quelli che venivano da oltre il confine, dalla bassa Valsugana?
R. Sì. Perché qua era Austria, anche adesso noi li chiamiamo italiani. «Quei de Bassan pa nialtri i é taliani »; (anca a Primolan).
D. E loro cosa vi chiamano?
R. Loro non so cosa ci chiamino, ma noi li chiamiamo ancora italiani. «Guardi, vede quella casetta in costruzione? Io ho chiesto a uno qui del paese, qualche giorno fa: «Chi è stato a comprare quella casetta?» «Italiani», mi ha risposto. Sono venuti su da Vicenza...
«Sóto Primolan i é tuti italiani» conferma l'altra amica.
Il confine comunque è prima di Primolano: c'è proprio un paesetto che noi si chiama «el confin», dopo Tezze, dopo Martincelli c'è il confine. Ora non si vede più niente di questo confine.
D. Come vi trattavano i tedeschi?
R. Dell'Agnolo. Meglio degli italiani. I nostri (io ho conosciuto i miei nonni, sono nata nel '20), i nostri avevano nostalgia dell'Austria: «i piandéva quando che l'a perso l'Austria, i nostri qua, i piandéva tuti».
D. Quando vostro padre è tornato da militare con l'Austria, come l'hanno trattato, gli italiani?
R. Ah, cosa vuole che ci facessero ... noi dovevamo trattar male loro!
Comunque non è successo come a Primiero che sono stati portati in prigionia, qui hanno iniziato ad arrangiarsi, a mettersi a posto le case, mi raccontava mia mamma.
Però noi si stava meglio con l'Austria, perché i nostri andavano tutti a Innsbruck.
D. A fare cosa?
R. A lavorare, perché qui non c'era niente, come giù per l'Italia.
Dopo la guerra qui c'era da patir la fame, perché non c'era niente, né lavoro né niente. Poi un po' alla volta le cose si sono messe a posto, ma ce n'è voluto del tempo!
Prima andavano tutti in Austria a lavorare. Andavano a Innsbruck a fare i muratori, in fabbrica, in campagna ... de tuto i fàva. Erano bravi gli italiani, i nostri qui. Avevano considerazione presso gli austriaci, tanto, tanto. E anche in Austria li trattavano bene.
Anche noi due, dal 1946 siamo state a lavorare all'estero: in Svizzera: «metà paese l'èra tuto in Svisséra».
Nomi: Dell'Agnolo Lina, cl. 1920 e Novello Oliva, 1912 ... profuga a Torino, in città... e i nostri andavano a lavorare in una fabbrica lì che si chiamava Viscosa dove in tanti dei nostri sono andati a lavorare... [dopo la 2. guerra ?]
D. Che ricordo ha dei torinesi.
R. Novello. Ci trattavano bene, tanto come in Svizzera. Si lavorava, si faceva il nostro dovere, si era buoni con tutti.
Ci hanno messo in queste case operaie, magari in due tre famiglie in un casa.
Al ritorno qui non c'era più niente, baracche e baracche. Eh, non dava niente el governo taliàn!
D. E i soldi austriaci che avevate, che fine hanno fatto?
R. Quali soldi, po' ... che non c'era niente, né italiani, né austriaci. Eravamo tutti poareti!
Quando è successo di dover andar via, qui avevano tutti degli animali, sa. Vacche, e li hanno lasciati tutti liberi giù per i prati, perché è arrivata la tradotta a prenderli e i nostri hanno dovuto lasciare qui gli animali. Tutto hanno lasciato qui.
D. Ma li avranno venduti?
R. No, no, non gli hanno dato niente. Scappare in fretta!
Dell'Agnolo. Sono venuti a prenderli, e allora i nostri – almeno così mi raccontavano i miei – hanno lasciato liberi gli animali nei campi, che andassero dove volevano. Eravamo poveri e siamo diventati ancora più poveri.
Quando dovevano partire (al momento di partire) i nostri piangevano, e piangevano anche quando ce lo raccontavano. Perché ... tutti su questo treno, su queste tradotte, anche con i bambini ammalati. E non sapevano mica dove li portavano. Sono venuti qui a prenderci dicendo:  «bisogna partire tutti che adesso qui c'è la guerra».
E al ritorno non c'era niente: tutte case abbattute, per terra. E allora se c'era ancora qualche camera coperta, tutti dentro a quella.

Se vuole però trovare altre persone di novant'anni deve andare alla casa di ricovero che c'è più avanti, qui in paese... 

Intervista a (...) Heidenpergher, Grigno

Intervista effettuata in Valsugana orientale nel corso di una ricognizione alla ricerca del vecchio confine fra regno d'Italia e impero austro-ungarico, il 17 agosto 1999.

Intervista a (...) Heidenpergher, nato nel 1924 a Grigno (TN), dove risiede.
Nastro 1999/2 - Lato A

[...] Facevano i fruttivendoli, venivano da Bassano. Venivano su a prendere legna con delle "bare" (carrette a 2 grandi ruote) e portavano giù legna, portavano via fieno e noi li chiamavamo i italiani, e loro ci chiamavano crucchi, perché eravamo sotto l'Austria. Anche il mio cognome è tedesco: Heidenpergher, perché i miei antenati venivano da là. 
Ai tempi di Mussolini, quelli che avevano lavoro statale e che avevano un cognome tedesco: «O cambiare il cognome o via dal lavoro». 
Dei miei parenti, uno era in ferrovia e un altro nella Finanza e hanno dovuto cambiare il cognome. I nostri genitori, che erano contadini, sono stati chiamati in comune, dal segretario, dal podestà come allora dicevano ... come adesso c'è il sindaco allora c'era il podestà. In comune hanno detto ai miei: «Dovete cambiare cognome», ma loro gli hanno risposto: «No, siamo nati con questo cognome e moriamo con questo cognome». Gli altri che invece lavoravano sotto lo stato hanno dovuto accettare e a uno gli hanno messo il cognome Moncalvo e a un altro Pascoli.
Qua a Grigno adesso ci saranno 1200-1500 abitanti. Nessuno ci vuole stare, è duro lavorare, ma una volta si adattavano (a lavorare la terra), come mi adatto io. Una volta si viveva con la terra e con i bachi da seta. I bachi da seta li tenevano ogni famiglia, giù nella campagna. Per ogni campo c'erano 25 piante di gelso, perché i bachi vivono con la foglia.
Per quanto riguarda il tabacco, qua a Grigno non c'era produzione, c'era solo qualche famiglia che lo teneva per sè. Anche noi lo facevamo, nascosto nei campi di sorgo. 
Il tabacco era giù per la Valstagna, già in territorio italiano, e infatti da là lo portavano di contrabbando: «tabaco da tródi» noi lo chiamavamo. C'era contrabbando.
Contrabbando che partiva anche da qua. C'era una famiglia che aveva tre quattro muli e si portava su in Barricata, sull'Altipiano e portavano giù zucchero e tabacco. Questo avveniva prima della guerra quando ancora c'era l'Austria, perché poi questa famiglia si prese un mulino.


Sono stato anch'io a Treviso, da un botanico, quando avevo mal di schiena. Ora non ne ricordo il nome, poi sono stato anche a Abano e Montegrotto, sempre per la schiena e là parlando con altri che si curavano, ho visto che quel personaggio di Treviso era conosciuto anche là, perché veniva a fare il mercato a Abano e a vendere i suoi prodotti contro i dolori...