giovedì 6 maggio 2010

Intervista ad Isolina Polita

Nata il 27 maggio 1910 a Romanziol (VE).

Nastro 1993/6 - Lato B                                13 settembre 1993

Sono figlia di Pietro Giovanni e Maria Rosiglioni; eravamo in 9 figli: 4 maschi (Luigi, Antonio, Ferdinando e Roberto) e 4 femmine: Anna, Ida, Isolina e Maria.
All'epoca della Prima guerra abitavo a Romanziol, vicino all'attuale ristorante Alla Consolata che all'epoca era un negozio di alimentari (casoin) gestito da mia santola (proprietario era Cencio Soligon). C'era solo bottega, non osteria, e quella era la piazza del paese di Romanziol.  Mi stée in piaza. C'era anche la chiesa e c'era il suo parroco; io comunque abitavo dalla parte dell'argine.
03:06 Di mestiere mio padre faceva il modellista, cioè faceva delle sagome per le ville, le preparava con il gesso e poi i muratori facevano le gettate in cemento. In un certo senso era cementista: ovvero prima faceva il modello e poi gettava il cemento; di conseguenza guadagnava abbastanza, essendo uno specializzato. Vivevamo abbastanza bene, anche senza terra da lavorare. 
Dei miei fratelli, cinque sono morti. 
Due mie sorelle, prima della guerra, lavoravano in fabbrica, cioè nella "fabbrica dei sacchi", lo jutificio di cui era padrone Battista Dall'Armi (di Treviso). Nello jutificio lavoravano circa 700 persone. Recentemente ha cambiato produzione: c'é ancora, infatti, ma lavora la plastica ed ha cambiato nome e vi lavorano poche persone.
Le mie sorelle lavoravano allo jutificio ed erano filatrici "maestre".
La juta secondo me arrivava dall'Africa. Arrivava dal Piave con le barche e poi gli operai andavano a prelevare queste grosse balle con dei carrelli e le trasportavano in fabbrica. L'approdo delle barche era a poca distanza dalla fabbrica.
Ora abito in via Marmolada nella schiera delle 28 case operaie ... che prima della grande guerra invece erano circa nove.
Le mie sorelle erano filatrici maestre. In fabbrica c'erano: il bagno, la filatura, la sala parè, la tessitura. Dalle balle la juta era messa a bagno sull'olio, e poi veniva lavorata. Quando è stato cambiato il processo di produzione e si è passati alla plastica, le macchine sono state mandate tutte in Africa.

09:02 Della guerra ricordo: "che i e rivadi, montai a caval, a Romanziol, mi me ricorde come dèss..." [sono arrivati, montati a cavallo, a Romanziol, me lo ricordo come fosse adesso]. Altri del paese sono andati via, ma mio nonno diceva "i passa, no i fa gnente" [passano, non fanno niente] e così siamo rimasti in paese.
Mio nonno si chiamava Luigi; mio padre era in guerra sul Carso. Dei miei fratelli uno morirà a Palmanova.
«I tedeschi i è rivai al dopopranso, montai a caval, i m'a dato i confeti verdi, un scartoss de confeti. I avea dita che quando che i rivea i tajea e man e i pìe e invesse... Mi e me fradel [Luigi] se géra anca sconti [dietro una siepe] e dopo se à vist e semo vegnui fora. Altro che dopo lori i é ndati dentro casa nostra e noaltri semo ndati dentro so na stala». 
[I tedeschi sono arrivati al pomeriggio, montati a cavallo, ci hanno dato i confetti verdi, un cartoccio di confetti verdi. 
10:38 Avevano detto che quando sarebbero arrivati avrebbero tagliato le mani e i piedi e invece... Io e mio fratello ci eravamo anche nascosti, ma dopo abbiamo visto e siamo venuti fuori. Solo che dopo, loro, sono andati dentro casa nostra e noialtri siamo andati dentro a una stalla].
Erano sopratutto le donne a dire che i tedeschi avrebbero tagliato le mani e i piedi. Io invece li ricordo bei soldati, con l'elmo. Erano un bel gruppetto.
Ricordo che nel nostro colmello c'era una signora, che avrebbe anche dovuto "tenermi a cresimo" ed era tedesca. Lei parlava direttamente con i tedeschi (aveva sposato un italiano). I soldati dicevano: «Volere bene ai bambini, non tagliare mani e piedi» ... hanno detto proprio queste parole. (Audio sulla paura dei tedeschi)

[Anche una sorella di Isolina, Maria, ha sposato un tedesco - che aveva conosciuto durante la guerra, l'ultima guerra - "ed era quasi meglio degli italiani". Andò ad abitare in Germania, poi fecero il muro e lei rimase di là del muro. È già venuta varie volte a trovarla dopo che è andata in pensione. Abitava a Wustrau, vicino a "Neuropin" (Neuruppin)].

14:01 Arrivati i tedeschi noi siamo andati a dormire in una stalla, e siamo rimasti là un po' di tempo finché hanno cominciato a piovere delle granate che hanno colpito alcuni abitanti di Romanziol. Ci sono stati due tre morti e dei feriti, ma nessuno della nostra famiglia.
Non eravamo scappati subito perché si pensava che i tedeschi sarebbero passati, ''che i ndésse via e invesse i se à ferma". Mio nonno in particolare era di questa opinione:  «I passa e no i fa gnente» ... invece dopo hanno iniziato a bombardare.
Quando siamo partiti, comunque, la nostra casa era ancora in piedi.
Siamo partiti a piedi, la mamma, il nonno e i fratelli: in tutto 9 persone e ci siamo diretti verso Chiarano, Motta, Pramaggiore. Siamo arrivati a Palmanova, portati dai tedeschi, che ci hanno prelevato a Castions di Strada.
C'era fango, mitragliavano, c'era pioggia. La prima notte e anche le successive. Dormivamo in stalla. I tedeschi ci hanno raccolto per strada e ci hanno caricato su dei carrozzoni trainati da cavalli (come i carretti degli zingari).
Da casa non ci eravamo portati via niente; mia madre ha preso solo la fotografia di suo marito.
La prima notte ci siamo fermati a Chiarano, in una casa i cui abitanti erano già scappati [verso «l'Italia»]. Siamo riusciti a trovare un po' di patate, dei grani. A Chiarano siamo rimasti fermi due tre giorni. Vi abbiamo trovato anche del vino buono, clinto [...].
18:30 A Palmanova, appena giunti, ci hanno sistemato nel manicomio e dopo in un ospedaletto da campo, a Visco, e là siamo rimasti fino alla fine. 
Le mie sorelle andavano a lavorare. Una - Anna - andava a Palmanova dai tedeschi a far da mangiare in una mensa per soldati (vi andava a piedi) e così anche a noi della famiglia veniva dato il rancio.
Noi bambini più piccoli andavamo anche a scuola, ma era una scuola tanto per non rimanere in strada, non ricordo che ci abbiano dato dei voti ... e andando a scuola passavamo a prendersi il rancio.
D. Ma tanti in quel periodo hanno patito la fame.
R. Non ho ricordo di aver patito la fame, in quel periodo.
Un'altra sorella - Ida - è stata messa a scopare la piazza di Palmanova, spazzina. Fra una cosa e l'altra insomma si mangiava; non ricordo invece se le sorelle erano pagate.
Mio nonno, quando sono arrivati a Palmanova, dopo poco, è morto. Per l'avvilimento, perché aveva sempre sostenuto che non sarebbe successo niente, e invece è stato costretto a fuggire da casa; aveva circa 70 anni, non era molto vecchio. La nonna era già morta.
Mia mamma faceva la sarta: era riuscita a portarsi via da casa la macchina da cucire. «Me a porte via parché a pol servirme», e quando siamo arrivati a Chiarano, [i tedeschi] volevano prendergliela. Lei se l'è nascosta sotto un grosso scialle ed è riuscita a conservarla. Così a Palmanova la macchina le è stata molto utile: i tedeschi stessi si facevano fare dei vestitini per mandare a casa e lei glieli faceva. A portar via la macchina durante la fuga è stata una grossa fatica, perché la macchina da cucire l'abbiamo tenuta sempre in mano: non avevamo nessun carretto.
Le scarpe, durante la fuga, erano sempre piene di fango.
Forse noi non abbiamo mai patito la fame perché siamo capitati in un gruppo di tedeschi che andavano a rubare di notte sui treni, zucchero e caffè e lo portavano a nascondere nelle camere (anche nelle nostre). Lo ricordo come fosse adesso: lo zucchero non mancava mai.
Ricordo che portavano anche delle intere granate di zucchero - a forma di granata - l'ho ancora impresso. Non so perché ci fossero queste "granate di zucchero", solo che ricordo bene che le portavano là da noi. Poi i soldati lo portavano dove e a chi sapevano loro, ma qualcosa rimaneva sempre anche per noi.
23:30 Anche le mie sorelle sono sempre state trattate bene; non hanno subito alcuna violenza. Anche mia madre, sempre tutto bene "un rispetto che mai!"
Io non ho un ricordo proprio brutto. Certo, ho dovuto abbandonare la casa, e poi fare tanta strada, e l'inverno e il freddo.
Il ritorno è stato col treno fino a San Donà, da dove siamo arrivati nella nuova casa dello Jutificio dove abito anche adesso. Non siamo più andati nella vecchia casa di Romanziol, che era stata distrutta. Siamo rimasti per un po' a Palmanova, finché mia madre - che era venuta a S. Donà a mettersi d'accordo con Dall'Armi - non ha avuto la garanzia di avere un posto e anche una casetta allo Jutificio. Quando siamo ritornati da Palmanova abbiamo trovato subito il posto in fabbrica, forse perché eravamo rimasti circa un paio d'anni a Palmanova.
Ritornata a S. Donà sono andata a scuola ancora, alla stazione, dove c'erano le scuole su una baracca. C'erano delle maestre da Venezia e sono andata a scuola fino alla quinta.
Dopo la scuola sono andata per un poco in fabbrica, ma subito dopo ho iniziato a fare la ricamatrice per conto mio. Dapprima ero andata "a mistièr" in piazza a S. Donà da Battistella, concessionario della Singer, che faceva delle dimostrazioni-scuola per quelle che comperavano la macchina da loro. Mia madre ha comprato la macchina e io sono andata a imparare da Battistella. Avevo circa 14-15 anni. Mia madre, era lei, che non voleva che stessi in fabbrica, "no a ghe tegnéa".
Lavoravo in casa: facevo corredi, lavoravo le lenzuola, con il telaio... [spiega la lavorazione, poco] e per i disegni mi arrangiavo io, mi compravo "Mani di fata"
28:20 Nel 1938 mi sono sposata, poi sono rimasta vedova.
Ho avuto due figlie e un figlio. E' venuta la guerra e ci sono state molte difficoltà; lavoravo meno.  [...]

***
Interviene un'altra signora, che però è nata a Ospitale di Cadore, dove risiedeva durante la Prima guerra. 


31:19 «Il primo aeroplano, mi ricordo ... ma Mària, quanta paura, quanta paura, tuti fora
Dal Cadore sono poi venuta a San Donà, dove ho fatto la cameriera in casa del direttore dello Jutificio»
***

Mio marito è morto nel 1958, quando avevo i figli ancora piccoli, per questo ho dovuto ritornare in fabbrica a lavorare. Mio marito lavorava a Marghera, all'Edison, e una sera, di ritorno con il motorino dalla stazione di San Donà ... di sera, proprio vicino a casa, è stato investito da una macchina ed è morto.
In fabbrica ho lavorato come filatrice; così ora ho la pensione, per fortuna. E proprio oggi ho ritirato la pensione [...]. Del marito invece prendo poco, perché era sempre assunto e poi licenziato, e comunque prendo 600.000 lire. [34:10 - fine brano]

Nastro 1993/7 - Lato A   Aggiunte e precisazioni del 18 settembre 1993

[La parte iniziale di questo lato della cassetta è stata sovra-registrata il 3.3.1994 dall'intervista a Renato Schioppalalba (archiviata come 1994.1b). Si è salvata comunque la trascrizione che nel frattempo era stata fatta. L'audio originale dell'intervista e la rispettiva trascrizione riprendono dal minuto 19:37 al minuto 25:02  - NdC, 1 febbraio 2015]

Mia sorella Anna (la più vecchia) ha rischiato la vita per andarsela a prendere a casa la macchina da cucire, che era di marca Singer. Proprio mentre lei è andata dentro la casa sono arrivate due granate che hanno sfiorato la casa.
Comunque è stata proprio la macchina da cucire a permetterle di prendersi un franco, perché lavorava per i tedeschi che volevano mandare a casa i vestitini per i loro bambini.
Lo zucchero normalmente era in sacchi, ma a volte era in queste "granate".
A Visco abitavamo in Borgo Cividale ... dopo essere andati via da Palmanova perché, nella casa in cui eravamo, erano ritornati i proprietari. Nella casa di Palmanova avevamo un pappagallo, e noi, dopo un po' che eravamo arrivati, lo abbiamo venduto per prenderci qualcosa da mangiare. Era un pappagallo, proprio, di quelli che parlavano. Mia sorella ha detto: «Io lo vendo, compriamo da mangiare!» E quando è ritornata la famiglia volevano il pappagallo, ma ormai lo avevamo venduto, per pane e polenta. Allora la signora proprietaria ha detto che voleva la macchina da cucire, ma mia sorella le ha risposto che l'avrebbe ammazzata piuttosto che darle la macchina, «co a fadiga che go fato a portarmea drio».
A Palmanova è rimasto anche un fratello, Antonio, che aveva 8 anni ed è morto di meningite. [Parte sovra-registrata]

[Riprende sincronizzazione con audio] A Visco siamo andati in un ospedaletto da campo.
Del pappagallo ricordo che "parlava el furlan". I padroni sono ritornati durante la guerra e così noi abbiamo dovuto andare a Visco. Eravamo in tanti in questo (ex) ospedaletto: tutto il paese di Romanziol!
I padroni di casa di Palmanova erano benestanti e mi ricordo che il pappagallo diceva "cermùt" [?].
35:36 Mentre scappavamo da Romanziol, di notte i tedeschi entravano nelle stalle e ci impaurivano con i fucili spianati. Ma con noi c'era un uomo che aveva (conduceva) "el pass de Zenson", il passo a barca fra Romanziol e Zenson ... e che aveva un vecchio fucile scarico. Lo puntava sui tedeschi e allora i tedeschi se ne andavano. Il barcaiolo mi sembra che si chiamasse Visentin di cognome, e di nome, mi sembra, Eugenio.
A Motta di Livenza siamo rimasti fermi una notte, perché era stato fatto saltare il ponte sul Livenza. Siamo rimasti sull'argine, con la pioggia e il vento. Nei pressi c'era un casone abitato da due vecchietti che avevano i figli in guerra e ci hanno chiamato dentro per ripararci. Mi sembra di vederli ancora, questi due vecchietti, sull'argine, che ci chiamano dentro per scaldarci ... e i féa fogo.
Mi sembra ancora di vedere quando sono arrivati i tedeschi, questa fila di soldati montati a cavallo, "bei tosati, bianchi e rosa, co l'elmo". E vedere che bellezza di cavalli! ... e ci hanno dato un cartoccio di confetti verdi. Li ho ancora davanti agli occhi.
38:24 I tedeschi mi volevano un bene che mai! "Co e morto me fradel i o a cuert de corone, i soldi" [quando è morto mio fratello lo hanno ricoperto di corone]. Sa, li chiamavano "corone", erano soldi che non valevano niente. I tedeschi non sapevano cosa fare per questo bambino che era morto.
Ricordo un altro episodio ... di un soldato tedesco fermo con una signora di Noventa. Ormai la guerra era finita. Gli hanno sparato e l'hanno ucciso.  [Fine intervista]

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