lunedì 1 marzo 2010

Intervista a Rosa (Rosina) Baron

Nata il 3 gennaio 1908 a Moriago della Battaglia (TV). Residente a Moriago della Battaglia.



(Intervista registrata ai bordi di una strada, spesso disturbata dal passaggio di veicoli e dal rumore metallico delle stampelle cui si appoggia la testimone) 

Nastro 1994/30 - Lato A   [Sulla cassetta originale da 45:16 a 47:30 - fine]   23 agosto 1994
Una granata è caduta proprio in pieno sulla nostra casa, qua a Moriago, in centro. Era una granata venuta dal Grappa, ci sono stati dei feriti e dei morti. Noi non eravamo andati via perché nessuno ci aveva avvisato, ed è capitato a tre quattro famiglie di essere colpite. Dopo sì siamo scappati, perché il paese è andato tutto per terra, solo le casette qua di fronte sono rimaste in piedi.
Dopo la bomba i miei erano tutti scappati. Non sapevo dove fossero. Mi hanno portato all'ospedale di Pieve di Soligo e per poco perdevo il braccio. Sono rimasta là a mangiare pestarèi e polenta…

Nastro 1994/30 - Lato B
02:08 All'ospedale c'erano dottori tedeschi, eravamo tutti ammucchiati là. Il sangue, da quanto ne avevo, è passato attraverso il materasso ed è caduto giù. I miei erano scappati ed erano sul Furlan (Friuli), e io non sapevo dove fossero e mi sono trovata da sola.
Eh, posso dir bene delle suore, ustia! Ce ne sono di buone sì, ma ce ne sono anche di brutte troie, canaie! Mi schiaffeggiavano tanto che la materia del braccio (il pus) cadeva giù nel cuscino; mi schiaffeggiavano perché piangevo. Ancora adesso mi auguro che Dio le mandi all'inferno. È dura trovarsi là una bambina, e piangere, e la materia che veniva su da una parte e cadeva giù dall'altra [del braccio destro rotto = asportato completamente il gomito]. E dolore, di notte … e schiaffeggiarmi, ah, così che si fa? Ce ne sono di buone ma ce ne sono anche di cattive, ostia se ce ne sono anche di cattive. Io quando le vedo le suore gli voglio bene, ma che mi stiano distante!
Vicino al mio letto ce n'erano delle altre [persone ferite], ma niente potevano farmi.
04:04 Per mangiare: polenta e pestarèi. Sa cosa sono i pestarèi? Sono polenta tenera tenera, con un po' di latte sopra. E mangia, senza sale, anche. Niente carne. Loro sì che si mangiavano il fegato, e noi bambine guardavamo per il buco della serratura. Ci dicevamo: «Oggi ce ne porteranno anche a noi». Signor perdonami, ma mi è toccata. Si sentiva il profumo, savéa da bon … invece se lo mangiavano loro.
I tedeschi (feriti) arrivavano questa notte e la notte successiva partivano o meglio arrivavano gli uni e gli altri partivano. Chiamavano mamma anche loro. Loro erano sistemati tutti da basso.
Una sera gli italiani hanno bombardato, hanno fatto un festino ... e ci hanno fatto andare tutti da basso, quelli che erano capaci di camminare. Io avevo un paio di zoccoletti con le broche, e giù. Nella fretta sono scivolata giù per la scala: ho rotto tutto il gesso e ho dovuto tirarlo via tutto e il braccio si è messo a sanguinare.
06:35 Ma che festino facevano? 
Non so spiegare bene...
Poi continuavano a portar dentro feriti, chi a una gamba, chi a un braccio, chi a una chiappa del culo. Tutto un urlo, tutto un afàr. Eh, così, fiòl! 
Dopo mi hanno tornato a ingessare, e sono ancora qua, anche se adesso ho l'osteoporosi e da undici anni ho una protesi, a forza di sforzare soprattutto il braccio sinistro.
Da grande io ho sempre fatto la sarta da uomo, (con laboratorio) in casa.
Quella volta sono stata tre mesi in ospedale a Pieve [di Soligo]. Nel frattempo tutti gli sfollati, fra cui mia mamma, erano su per Refrontolo, su per le montagne.
08:47 Là hanno detto di mandarli uno per casa sul Furlan, ad Arzene, vicino a Codroipo. Ci hanno portato i tedeschi, con i muli e un carro, e il braccio non era ancora del tutto guarito; ha dovuto passare un anno prima che guarisse.
Ad Arzene ho trovato un italiano, un dottore che stava nascosto ... noi si conosceva il posto e ogni tanto andavamo a medicarci. Non ricordo il nome di questo dottore. È stato bravo, per un anno intero, senza essere pagato.
Mi hanno portato anche a Spilimbergo, perché pensavano di aggiustarmi meglio il braccio, ma poi hanno guardato qua sotto e cosa si poteva fare, che mi manca il gomito completamente [il braccio destro è otto centimetri più corto]. 
10:52 Mi danno una miseria di pensione: ora che me ne danno tanti mi danno mezzo milione di lire. Ho fatto domanda di aumento due volte, ma niente … e sul mezzo milione sono comprese le 94.000 lire di pensione di quel poco di tempo che sono andata a lavorare, a far scarpe … e fino a tre anni fa prendevo 300 mila lire scarse. Per fortuna che ho mio marito, che ha una pensione normale (da ultimo lavorava con l'Enel). Ma a me ci vorrebbe una persona che mi seguisse di notte e di giorno, perché non sono capace di lavarmi, non sono capace di far niente, non sono capace di stare in piedi.
12:25 Ad Arzene siamo stati messi uno per casa, e non eravamo tanto disturbati. I padroni avevano nascosto tanta roba. Erano contadini, l'avevano nascosta sotto terra, avevano fatto delle buche, l'avevano messa su delle botti grandi sotto i portici. 
Noi siamo stati messi uno per casa, a lavorare come si poteva; eravamo in sette fratelli e ci davano da mangiare. Siamo stati anche fortunati e solo ultimamente [abbiamo patito la fame] ( … ) dopo ci diedero la tessera, ma era poco, una miseria…
Nella famiglia che ci alloggiava c'era solo una figlia, e non sono stati cattivi con noi. Avevano della terra e avevano nascosto tutto, anche la biava [granoturco], tutto. Facevano dei fossi e mettevano sotto la roba, ma ultimamente era dura, perché loro non potevano più [darci da mangiare]. 
Ci passavano una misera tessera e allora abbiamo mangiato tante di quelle pannocchie fresche, cotte sul larin, abbrustolite. 
14:37 Non erano cattivi, ma erano furlani! e basta. 
E dopo ci prendevano in giro. Io avevo un fratello che era deicato (permaloso) e gli rispondevano male. Lui andava a prendersi un po' di legna su per queste boscaglie … e lo chiamavano
15:37 «profúgo, profúgo, profúgo, profúgo» finché a forza di sentirselo dire, una volta che era andato a raccogliere una fascinella di legna per farci da mangiare ( … ) e si mangiava pannocchie arrostite, si andava a prendersi la legna io e mio fratello finché lui a forza di  profúgo, profúgo, profúgo ha preso un ragazzo del posto e lo ha scaraventato in mezzo a un cespuglio di rovi e poi siamo scappati. L'ha sollevato per il culo e l'ha buttato nelle róe e poi quello non era più capace di tirarsi fuori e noi siamo scappati. Era un tosàt, che scherzava sempre e ci prendeva in giro … ma da quella volta non ci ha più detto profúgo. Mio fratello si chiamava Piero (era del 1905, aveva 12 anni e si offendeva). Mio padre era in guerra.
17:29 Ad Arzene siamo rimasti un anno intero. Quando siamo ritornati qua c'era qualche casa, qualche pezzo di casa … e poi hanno fatto le baracche. Erano rimaste in piedi proprio solo quelle due tre casette tutte attaccate che si vedono di là della strada di fronte a casa mia … tutto il resto era a terra, tutto un piano... La chiesa tutta a tocchi, anche il campanile e le scuole, tutto. Poi ci hanno fatto le baracche e per mangiare, per vivere avevamo una tessera.
18:58 Adesso io mi meriterei una persona che mi assistesse … ho fatto domanda ma mi tocca pagare, ma se pago questa persona non mangio più io.
Sono stata tanto per gli ospedali … ormai le gambe non mi tengono più, ho l'osteoporosi … sono dodici anni che porto queste ostie qua, le stampelle. E poi dolori…
20:11 Ad Arzene, quando siamo arrivati non sapevamo dove ci avrebbero messi, e allora quando abbiamo iniziato a scendere, Santo, mio fratello più vecchio che era del '3, poro can, el gavéa fam … scese giù e andò in una casa a domandare se avevano un po' di polenta, un pezzo di pane e glielo hanno dato, non ricorda se pane o polenta. Dopo ci hanno portato in piazza, ci hanno scelto e ci hanno smistato uno per casa nel paese (ci hanno scelto quelli del comune, gli addetti) e mio fratello ha avuto la fortuna di andare proprio nella famiglia alla quale aveva prima chiesto da mangiare, la carità. 
Si era tutti su per una contrada, noi fratelli … quella era una famiglia di contadini che avevano abbastanza terra e avevano bisogno e a Santo volevano bene perché aveva quattordici anni e sapeva lavorare i campi.
L'altro fratello invece mangiava poco. Ce n'era proprio poco da mangiare, non ce n'era… gli toccava andare per i campi a pannocchie… 
22:13 Mia mamma poverina aveva già sei figli e quando poi è venuta a casa ne aveva un altro, perché quando era partita era incinta … si pensi cosa ha passato, a portarsi dietro sei bambini e un altro sulla pancia.
Mia madre si chiamava Antonia Rossetto e mio padre Giosuè Baron.
Il bambino che aveva in pancia poi è nato morto. 
Da profughi, in questa casa … c'era una levatrice … ma non era nel paese, bisognava andare a Valvasone, dove anche si andava a messa … (là o negli altri paesi più in su). A scuola invece non andavamo; io comunque ho fatto fino alla terza elementare, a Moriago, però.
Eh! l'abbiamo passata proprio bene … 
24:12 E vengono anche qua a far le feste, quaggiù al cippo [Isola dei Morti], ma io non ci vado mai, no … almeno mi dessero qualcosa di pensione e per l'invalidità. Fanno le feste e vengono gli alpini … è bello lui, sì, ma io non ci vado, io non ho mai ricevuto niente e non ci vado … se mi facessero avere qualcosa, che è una vergogna … una vergogna, che mi vergogno ad essere al mondo. Nessuno che mi aiuta e se chiamo qualcuno che mi aiuta devo pagarlo. Nessuno mi dà niente, neppure le medicine; l'ultima volta che sono andata in ospedale mi hanno ordinato tante medicine, ma me le hanno passate una volta e poi me le hanno tirate via tutte…
Quando siamo tornati a casa ci siamo dapprima arrangiati alla meglio con qualche pezzo raccolto qua e là per ripararci … e dopo ci hanno fatto le baracche. Io abitavo vicino al forno in via Meneghin. 
27:16 Eravamo contadini sotto i Savoini. Eravamo alla parte [a mezzadria], e loro volevano anche la nostra parte. Carogne! E siccome mio padre era ignorante si faceva fregare. C'era una padrona, vedova, zoppa, canaglia! Si chiamava Isabella e noi la chiamavamo Bellotta. Quando si pesava la biava … quando noi ragazzi si andava a spannocchiare e poi si disponevano i sacchi in fila, un sacco di qua e uno di là (per fare la metà) … e i sacchi mia madre li aveva aggiustati (una volta) perché a forza di adoperarli si erano rotti … una volta scivolò fuori una pannocchia e allora la Bellotta si mise a dirmi «è mia, è mia quella là, buttala di là, e indicava la sua fila di sacchi!». Dio, le avrei dato una bastonata. Carogna! 
Poi mio fratello Piero, è andato via dal paese, è andato a Milano, con altri qua del paese, falegnami. E la Bellotta subito a dire a mio padre «Hai mandato via il ragazzo, ciò? E la terra, e la terra chi è che la lavora?». Eravamo lo stesso in tanti, ma aveva paura che la sua terra restasse da lavorare …
Ma poi quando morì vennero i frati [di Follina] a prenderla e quasi la persero per strada […]

Nastro 1994/29 - Lato B [Sulla cassetta originale da 24:16 a 40:52]    Aggiunte e precisazioni, 15 settembre 1994
30:11 L'ospedale era quello di Pieve di Soligo.
Anche i tedeschi feriti chiamavano mama, come noi … tutti chiamavano mama … me lo ricordo bene, perché avevo 8 anni.
Avevamo una fame da morire. Eravamo tre ragazzine, e non c'era da mangiare. Una fettina di polenta così, nell'ospedale, una mela cotta o cruda e nient'altro … e loro (i soldati) mangiavano pane e marmellata e noi ragazzine ci si metteva davanti a loro in piedi a guardarli e loro poverini ci davano una fettina di pane con la marmellata, perché vedevano che noi mandavamo giù la saliva.
31:43 Era fame per noi ma anche per loro. Guerra, era!
C'era una donna in camera mia, lo capii dopo, che aveva una bambina piccolina e mi mandava giù a scaldare il latte in cucina … e sentivo un profumo che veniva fuori dalla cucina, un profumo di mangiare. Quando ritornavo in camera dicevo agli altri … vedrete che oggi ci portano qualcosa di buono, una bella padellata così di fegato … e invece niente da fare, lo mangiavano le suore … brutte carogne porche! Noi aspettavamo che ci portassero qualcosa di buono, e invece se lo mangiavano loro e a noi davano la polenta secca e una mela cotta … non abbiamo assaggiato né latte né caffè né niente.
Io avevo tutto il braccio pieno di materia che pissava per giù … 
33:34 E i miei erano tutti scappati via. Non sapevo dove fosse mia mamma, tutti scappati. E io chiama mio fratello, chiama mia sorella; chiama questo e chiama quell'altro, chiama tutti…  eravamo sette fratelli. Insomma là sono rimasta da sola. 
Dopo un mese finalmente mia madre è venuta a trovarmi e mi ha portato un pezzetto di pane così. Che aveva fame anche lei, perché era incinta … e loro erano profughi a Refrontolo. Dopo tre mesi è venuta a dirmi che loro partivano e li portavano sul Furlan a Arzene, Casarsa.
Ci hanno portato via con i muli, con i carrettoni. Per strada ci siamo fermati su una casa grande, e quello che era alla testa di tutte queste famiglie ci ha fatto la polenta e ce ne ha data una fettina ciascuno, ma senza niente, polenta sola, bisognava mangiarla così … e ogni testa (eravamo tante famiglie, qua di Moriago) aveva la sua fettina.
Quando siamo arrivati ad Arzene, al principio del paese, mio fratello più vecchio e un'altra signorina smontano dal carro. Mio fratello Santo ha detto: Smonto giù perché ho una fame! Vado a domandare se mi danno qualcosa da mangiare. 
35:51 Prova ad entrare in una casa e gli dicono «no dàe nùje, no dàe nùje... » e il fratello si diceva fra sè «ostia, dopo che ho fame... ci dicono anche brutte luje (troie)»!
Per fortuna dopo, quando ci hanno messi uno per casa, lo hanno messo  proprio in quella casa in cui era andato a domandare da mangiare. Là erano contadini, erano due tre spose, mangiavano e avevano terra. Ha trovato una casa proprio bene.
Là da profughi eravamo tutti in una stradella fuori dalla strada principale … con noi c'erano altre famiglie di Moriago: Lucrezia Scarpel, Marietta Fornasier, Antonio Campeol e la vecchia Lola.
Noi eravamo Baron detti Fèria, sei fratelli: Piero, Santo, Rosina, Maria, Margherita, Giacomo, più mia mamma. 
In casa a Moriago c'erano inoltre i sette figli (cugini nostri) di un'altra sorella di mia mamma ... in tutto eravamo 14 bambini. 
40:19 [Quando è caduta la bomba] eravamo tutti là addossati a una parete che confinava con la cantina, una parete più grossa delle altre e ci sembrava di essere più sicuri, ma la bomba è caduta proprio là davanti. Comunque di morti ci fu solo mia sorella (Caterina) che andava già a scuola. Non morì proprio subito, perché subito fummo trasportati in una casa vicina. Aveva tutte le gambe che pareva le perdesse e aveva la bocca che si chiudeva e apriva. Spaciolàva ritmicamente ed era tutta rotta dietro alla schiena. Io avevo sì il braccio rotto, ma mi ricordo molto bene … il mio braccio aveva l'osso del gomito rotto, ma le corde erano sane. In ospedale hanno aspettato dieci giorni prima di decidere se lasciarlo. Dapprincipio avevano quasi deciso di tagliarlo tutto, ma siccome le corde erano sane lo hanno salvato, ma dopo sono rimasta più di un anno senza poterlo muovere, me lo ricordo come fosse adesso.
42:30 Aveva tanti dolori?
Eh! tutta la notte piangevo e la suora mi schiaffeggiava. Era una suora giovane e io quando vedevo quella suora l'avrei non so cosa … quella era senza Dio, senza niente, quella era un diavolo, per me. Invece ce n'era un'altra che quando andava su per la scala nel granaio a prendere la frutta, poi quando scendeva, mi metteva di nascosto una mela sul letto, quella aveva un po' di coscienza. Ma quell'altra no, l'ho maledetta sempre, in vita. Era giovane, ed era una gran canaglia. Mi schiaffeggiava, mi diceva che ero cattiva, che piangevo per niente. 
Là in ospedale venivano dentro anche dei nostri (civili) che si ferivano qua e là, con i petardi … e una sera è arrivato un bambino a cui una bomba aveva asportato tutto un gluteo. Piangeva e piangeva, e non c'era più niente da fare e non ha mangiato niente. Allora un'infermiera ha preso il suo piatto e me l'ha dato «To' prendi, che avrai fame, ma poi portamelo qua subito, che non si accorgano». Io mi sono affrettata a mangiare e poi ho messo là il piatto assieme agli altri. «Sa, da fiacca che ero, ho mangiato anche la sua porzione e alla notte mi è venuta la febbre». Il bambino poi è morto.
44:42 C'era un'altra donna che ha lasciato due figli qua a Fontigo, morta anche lei …
Quando siamo andati sul Furlan ci hanno messo uno per casa. Io ho trovato abbastanza bene, ma quell'altra mia sorella, Margherita - che è ancora viva (è del '12) - non tanto. La mettevano sulla porta con una scodella di polenta e latte, la mettevano fuori della porta a mangiare. Quelli erano un po' crudeli … e a volte il gatto andava a mangiarle sulla scodella, e a mia madre che vedeva la scena cascava il cuore. 
Ora Margherita [Baron] abita a Latina, dove è andata a stare all'epoca delle bonifiche dell'Agro Pontino e poi si è sposata là.
Io mi sono sposata nel 1935 e ho avuto un figlio nel '37 [...]                                                                                       

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