domenica 28 febbraio 2010

Intervista a Fiorenzo Barbon


Nato a Varago di Maserada (TV), il 5 febbraio 1909, abitante a Maserada in via Madonna delle Vittorie.
Intervista registrata il 22 aprile 1994 



Nastro 1994/3 - Lato B
Sono nato a Varago in via Postioma, in una casa agricola a tre piani (due, in realtà). Noi eravamo contadini proprietari e all'epoca erano in pochi ad esserlo, perché la maggior parte, a Varago, erano fittavoli.
Nella nostra casa abitavano quattro fratelli (... i proprietari erano in quattro). Mio padre era Luigi Barbon, nato nel 1875 e morto a 54 anni nel 1929. Mia mamma si chiamava Amabile Segato, era cinque anni più giovane del marito e visse molto di più (morì circa 15 anni fa). 
02:33 [Origine del] nostro soprannome "Martini" (Barbon detti Martini) ... perché una volta un nostro bisnonno si chiamava Martino e, dato che la nostra era una famiglia distinta... per chiedere informazioni, quelli che venivano da fuori paese, venivano tutti da noi; arrivati a Varago, se chiedevano qualche informazione, i paesani dicevano andate da Martino (ndè da Martino).
I vari fratelli si sono divisi dopo la prima guerra, circa il 1921: noi siamo andati a stare in un luogo là vicino, e gli altri tre rimasero assieme. Questi altri tre si chiamavano: Giovanni, Alfonso, Emilio ... e tutti erano figli di Fiorenzo, di cui ho preso il nome.
Oltre ai quattro fratelli maschi c'erano anche cinque sorelle femmine: in tutto nella casa grande erano nove fratelli (poi, quando le sorelle si sposarono ebbero in dote ciascuna un campo di terra). In tutto la famiglia lavorava circa 70 campi di terra … o forse erano anche un po' di più. [Un campo trevigiano = 5204 metri; per convenzione: due campi = un ettaro]. Era davvero un bel po' di terra: la famiglia insomma era una famiglia che stava bene. Era gente che lavorava, che stava dietro bene alla campagna ... e poi avevano saputo "comprare bene", tanto che una volta acquistarono un appezzamento di 19 campi per sole 20.000 lire.
06:30 Coltivavano granoturco, frumento, e anche altre piccole coltivazioni: avena, segale, orzo ma poca roba, per le bestie... A volte mettevano anche una striscia di lino e una volta anche un po' di canapa.
Anche noi, figli di Luigi Barbon, eravamo in nove fratelli, di cui cinque maschi. Io ero il più vecchio dei maschi, ma prima di me c'erano due sorelle: Ida 1906, Anna 1907... poi c'era Bruno del '12, Ferruccio del '14, Ottorino del '15 ed Elvio, l'ultimo, che è del '23 - dopo la guerra - ed è l'attuale proprietario del bar che sulla curva in centro a Maserada vende anche giornali.
09:10 Della guerra ricordo che in quei giorni i miei zii e mio padre lavoravano ...
Mi ricordo dell'offensiva [giugno 1918] … che sparavano e si sentivano le granate passare sopra e proprio nei nostri campi avevamo una batteria antiaerea, davanti a casa, a neppure 100 metri.
10:51 Quando sono venuti avanti i tedeschi [nel 1917, dopo Caporetto], i genitori dissero «i figli più piccoli e le donne le portiamo più lontano», così siamo andati verso Treviso e ci siamo fermati a Santa Bona dove abbiamo trovato un palazzo disabitato e vi siamo entrati.
Siamo partiti con un cavallo e un carro, portandoci via le cose più necessarie. Però mio padre è rimasto sempre fisso in casa, perché c'erano le bestie da accudire e quindi restava sempre là in casa; così la casa non è mai stata libera, abbandonata.
12:22 E' rimasta in piedi, la casa?
Sì … aveva solo un colpo nel retro della stalla e la granata aveva fatto un buco.
A Santa Bona siamo rimasti per tutto l'anno. Là vicino c'erano gli americani e gli inglesi e noi bambini andavamo a prenderci da mangiare da loro: il pane era più buono (…) altrimenti si mangiava tutto con il sussidio, con la tessera.
Mia madre rimaneva a S. Bona con i figli, ma mio padre invece, con il cavallo, faceva avanti indietro fino a Varago e io, che ero il più vecchio dei maschi, andavo sempre assieme a lui. 
14:33 Non avevo paura della guerra … «per me era come uno svago, io giocavo con tutti i bossoli che rimanevano a terra, facevo delle cataste e poi mi divertivo, le rovesciavo».
I soldati erano là nella nostra terra, accampati davanti a casa nel cortile e poi alla sera entravano in casa e facevano dei giochi (stavano in compagnia). Erano una batteria di artiglieria antiaerea con cinque cannoni …
15:57 Tre fratelli di mio padre erano militari e tutti sono stati fortunati e non furono feriti, solo Giovanni fu fatto prigioniero dai tedeschi e ritornò a casa alla fine della guerra che stava abbastanza bene.
Io non avevo paura, e quando ero a casa a Varago sentivo le granate che partivano di là del Piave e passavano sopra. 
17:11 Con noi c'erano anche altri bambini e ogni tanto ci si trovava insieme ...
La nostra casa era a circa tre km dalla linea del fronte, e quasi tutte le famiglie dei contadini erano rimaste là. Bisognava pure che rimanessero a provvedere al raccolto, seminare, governare le bestie che erano rimaste in stalla!
Non abbiamo avuto furti, solo che ci hanno requisito la cavalla; poi, alla fine della guerra, ci hanno dato in cambio una mula; certo valeva meno...
19:53 A tutti quelli che erano in prossimità del fronte era stata data la maschera antigas, e un giorno abbiamo visto una nebbia... era stato lanciato il gas-lacrimogeno ... gli italiani hanno subito acceso dei preparati appositi che reagivano contro il gas, facendo del fumo, ma lo stesso si era formata una nebbia, un caìvo, che faceva male agli occhi. E proprio in quell'occasione non riuscivo più a trovare la maschera e avevo tutti gli occhi che lacrimavano, ma niente di più.
21:06 In quell'anno di guerra abbiamo fatto comunque tutti i lavori che c'erano da fare in campagna...
Nella campagna avevamo fatto dei piccoli rifugi, delle trincee per mettervi dentro della roba. Anche in casa avevamo fatto un buco e vi avevamo nascosto della roba. Non c'era pavimento... era sotto il portico dove si ricoveravano gli attrezzi. Abbiamo scavato e poi coperto con delle tavole e dentro vi abbiamo nascosto roba da vestire e altra roba, e alla fine della guerra l'abbiamo ritrovata.
23:34 Ricordo in particolare che una volta Francesco Baracca ha colpito un aereo proprio sopra la nostra casa a Varago. Io e un mio fratello stavamo giocando nei pressi di una grossa buca che c'era nella campagna, guardavamo l'acqua e i ranabútoi (girini) che si rincorrevano dentro e a un certo punto abbiamo sentito un rumore in aria, il rumore di un motore inceppato e abbiamo visto una fiamma in cielo: era stato colpito l'aereo. Allora ho preso per mano mio fratello e … corri, corri... ci siamo diretti verso casa per cercare riparo ... ma in realtà stavamo andando incontro all'aereo che cadeva. L'aereo cadde a pochi metri dalla nostra casa, 50 metri in fianco. Per quello avevo paura: lo vedevo proprio venir giù; non abbiamo fatto neanche in tempo di arrivare a casa che l'aereo era già caduto … a neanche 100 metri da casa, proprio sul confine del terreno di un vicinante, appena di là del fosso all'inizio del campo di frumento, poco più sopra del cavino iniziale. 
Me lo ricordo molto bene perché anche noi avevano del frumento e tutti quelli che poi vennero a vedere l'aereo pestarono il frumento, che ormai era quasi maturo (deve essere stato in maggio, era alto, quasi pronto, quasi giallo)… e tutti i contadini dei dintorni vennero a vedere l'aereo. Il pilota era uno solo, ed era morto all'interno dell'aereo ... il corpo però era ormai come disintegrato, bruciato... non si vedeva quasi più.
L'aereo non era stato colpito dalla contraerea che c'era a casa nostra ma da Baracca ... io lo so, perché Baracca dopo aver colpito l'aereo si girò e volò a bassa quota sopra l'aereo colpito prima di andare ad atterrare. Poi, dicevano (si diceva... ma io non l'ho visto) che Baracca fosse venuto sul luogo in automobile a vedere l'aereo che aveva abbattuto.
[...]
29:00 Il parroco di Varago, Don Pastega, mi pare che sia rimasto in paese...
Da profughi a Santa Bona di Treviso, in questo palazzo non abbiamo trovato nessuno e neanche abbiamo frequentato nessuno del paese di Santa Bona, perché il palazzo era vuoto e lontano da altre case. 
30:05 Il proprietario di questo palazzo doveva essere stato proprietario di un cinema perché in una stanza abbiamo trovato anche un deposito con moltissime pellicole cinematografiche. Noi non sapevamo cosa fossero ... e così noi bambini ne abbiamo bruciate tantissime. Noi non sapevamo altro che quella roba là ardeva bene: erano buttate là per terra tutte de strassinon, su una stanza, tutti questi rotoli, queste pellicole ... che andarono distrutte così.
31:13 Io, come bambino, ho vissuto la guerra come fosse una cosa naturale che facevano, così... Sono rimasto impressionato solo quando è arrivata la batteria con questi cannoni che si sono messi proprio nel cortile davanti a casa... e «anzi io quando ero in giro per la strada e ritornavo a casa dovevo passare sotto le corde con cui erano agganciati i cannoni ai camion che li avevano portati fin là». 
Sentivo il rumore dei colpi, quando sparavano, ma non mi dava fastidio.
Poi i cannoni furono portati un po' più avanti sul campo, a neppure cento metri, davanti alla casa, dove furono costruite delle piazzole...
33:12 Mi ricordo di questi camion che trascinavano i cannoni e che avevano le ruote in ferro cerchiate con gomma piena e dura...
Io avevo già fatta la prima elementare e nell'anno della guerra non sono più andato a scuola; ho ripreso ad andarci nel 1919.
Dopo le scuole ho fatto il contadino, ma volevo imparare un mestiere, perché mi rendevo conto che in famiglia ... 
[...(testo non registrato - fine cassetta) - essendoci tanti fratelli - non avevo molte prospettive; invece mio padre voleva che rimanessi in casa a lavorare la terra...
Ma alla fine andai a fare il muratore e mi sono anche fatto la casa in cui abito.]                                                                                        

Intervista ad Emilia Baldasso

Moglie di Piero Barbon Pedrina, nata nel 1911 a Visnadello (TV) e residente a Spresiano.

All'intervista - registrata il 26 aprile 1994 - è presente anche il figlio. 



Nastro 1994/5  -  Lato B                    
Mi ricordo quante bombe! quante granate! Si era al fronte e dietro (casa nostra) c'erano tante di quelle granate e soldati di tutti i colori, francesi, inglesi, scozzesi...
00:54 Noi potevamo vedere tutti quelli che andavano su al fronte, a piedi, poareti, con lo zaino, coi scarpon, bron, bron, bron, e si avviavano, andavano su al fronte, in direzione del Ponte della Priula e noi tutti ragazzini che si correva fuori a vedere, tutti questi plotoni di soldati che andavano su, e dopo venivano giù, perché dietro casa mia c'era un deposito di cavalli e di tutto. C'erano soldati di tutte le razze, perfino gli scozzesi con le cotoéte (gonnelline), e tutti a piedi si dirigevano al fronte e ... mia madre diceva ... "i sona a baga... i sona a baga... " (suonano la cornamusa) e sentisse che musiche facevano! Andavano al fronte suonando! E suonavano bene. 
Interviene il figlio - Ma quando tornavano dal fronte non tornavano più con la banda, e neppure tanto contenti, perché molti vi erano rimasti.
02:46 Dietro casa mia c'era il deposito di cavalli e noi bambini andavamo a prendere le gallette, le carrube e ce le mangiavamo contenti; c'erano tanti di quei sacchi là!
Abitavamo dove ora c'è la fabbrichetta E 41 - lungo la statale - dove all'epoca nei pressi c'era un mulino e una fabbrica di paste (pastificio), prima della guerra del '18. Poi il deposito dei militari e c'era di tutto (proiettili, granate...), durante la guerra. Eravamo ai confini tra Visnadello e Spresiano lungo via Nazionale, in località Borgo Rosini (mi sembra).
Per entrare nel deposito dei militari c'era una stradina... e quando siamo venuti a casa (dal profugato) gli artificieri hanno messo una bomba a fianco all'altra e le hanno fatte esplodere. E noi tutti chiusi in una stanza; erano le bombe rimaste inesplose.
La nostra casa era molto vecchia (ha 200 e più anni e non può essere abbattuta) ... durante la guerra si è salvata anche se ha preso una granata ... si trova vicino alla Piavesella appena dentro la strada grande... a circa 4-5 km dal fronte.
06:01 Verso febbraio (1918) sono venuti dei militari a dirci che bisognava sgomberare, e siamo stati caricati tutti su un camion.
Eravamo una famiglia di dodici persone: padre madre e 10 figli più un'altra zia che abitava sulla stessa casa e aveva 8 figli. Fagòt e fagotín, siamo stati caricati tutti...  e quando ormai il camion stracarico si era avviato sulla nazionale (a fianco di casa mia passa la Piavesella) mia madre ha gridato all'autista: "el ferme el ferme, che o assà a toséta su a cunéta" (si fermi, si fermi, che ho lasciato la bambina sulla culla); era la figlia ultima nata, di un mese. Andò a prenderla e poi il camion è ripartito fino a San Martin de Overi (San Martino di Lupari).
07:27 Là ci siamo fermati per 6-7 mesi, fino alla fine della guerra ... e siamo ritornati a casa verso novembre del '18. La nostra casa è a circa 4 km dal fronte. 
08:34 Abbiamo trovato la Piavesella secca, senza acqua e mio padre doveva andare in giro a trovare l'acqua con la botte.
Perché noi bevevano l'acqua della Piavesella, prima della guerra... non ne avevamo dell'altra a disposizione... "nati e cressui, caro, senza ndàr dai dotori...!" sempre acqua della Piavesella, ma non c'erano mica tutte le fabbriche che ci sono adesso...
[Ricorda il figlio: i nonni avevano un secchio di rame, l'appendevano alla sera pieno dell'acqua torbida della Piavesella: alla mattina l'acqua era decantata e la bevevano].
09:38 Mio papà andava a cercare l'acqua su qualche pozzo, in giro, dove la trovava
A San Martino dei Lupari mangiavamo col sussidio... e poi là vicino c'erano i francesi e andavamo a mangiare il riso con loro: riso con lo zucchero!
10:11 Ci avevano messo in un gran palazzo, con una gran sala al centro; sulle camere erano state sistemate la mamma e la zia con i rispettivi figli...
In tutto avevano sistemato otto famiglie della nostra zona, sulle stanze ma anche sulle stalle. 
Sono partiti vari camion, da Visnadello ... La villa dove ci hanno portato era poco prima del centro di S. Martino e si trovava vicino alla strada, e dopo vi hanno fatto anche le scuole.
11:11 Come vi trovavate, voi profughi?
Ci davano il sussidio e ci si arrangiava... io andavo a scuola là, vicino al palazzo.
Là c'erano i francesi e dopo loro sono partiti e non ne sono venuti di altre razze.
Mentre prima di partir profuga, sulla casa nostra ce n'erano di tutte le razze.
Bombardavano, buttavano le granate e ... aspetti... passavano i dirigibili, e vedevo tutto un palloncino, così ... non erano tanto alti.  
                                                                           

sabato 27 febbraio 2010

Intervista a Giuseppe Bacchet

Nato il 9 agosto 1911 a Gruaro (VE).

All'intervista - registrata il 19 marzo 1998 - è presente il figlio Rodolfo.



Nastro 1998/8 - Lato A
Inizia parlandomi dei suoi animali da cortile: 13 galline, un gallo e tre anatre.
01:40 Mi diceva suo figlio che si ricorda ancora qualcosa della 1 gm... 
- Ero bambino, io avevo sette anni, sono dell'11. Abitavo in paese a Boldara [frazione di Gruaro], poi ho comperato questa casa (nel 1950).
(Scatto delle foto)
04:28 Ricordo che all'epoca [1917-18] a Boldara … andavo a rubare il pane ai tedeschi: nella nostra stalla c'erano sei vacche e, nella greppia dei vitelli, i tedeschi vi mettevano il pane, finché mi ha scoperto un tedesco con la pagnotta in mano. Io ero bambino, e non mi rendevo molto conto, ma non mi ha dato botte né niente. 
05:15 Mi ha preso la pagnotta e poi facevano discussioni fra di loro, accusandosi a vicenda di rubarsi il pane, mentre ero io che andavo a prenderlo. Ma mi è andata bene per due, per tre giorni, poi mi hanno scoperto e così si sono messi in pace anche loro … ma non mi hanno fatto niente. 
06:03 C'era fame per tutti, per i tedeschi e anche per noi.
Avevano anche una cucina in cui facevano da mangiare. Facevano riso, nella gran parte. C'erano le cave di ghiaia e là facevano da mangiare. Poi mangiavano tante susine, prugne secche.
07:30 Commento sul vino che mi ha offerto "vero moscato del Piemonte": glielo procura la sorella che abita a Torino e va a prenderlo in provincia di Asti.
08:40 I tedeschi con i cannoni, nell'avanzata verso il Piave, sono andati per le strade vecchie, sulla strada “di Sant'Angelo”… che collega Gruaro a Boldara… ma loro hanno preso una strada secondaria.
[Già era secondaria, a quei tempi la strada fra Gruaro e Boldara … e i tedeschi ne hanno presa una ancor più secondaria, spiega il figlio Rodolfo].
Venivano avanti in tanti, con i cannoni, i reticolati, pale, picchi, “mangiare”…
Sono riusciti a venir fuori con i cannoni dal pantano “a forza di loro” [da soli] … in una maniera e l'altra. Perché andavano avanti con la carta topografica delle strade. Quella strada la va par lì, quell'altra la va di là, quest'altra va di qua. Andavano dietro a queste carte, mentre le strade un po' di anni prima erano cambiate...
10:36 Loro andavano avanti con una mappa vecchia e così si sono trovati nelle strade vecchie e abbandonate. (Mio commento al riguardo...)
Là a S. Angelo… era là che si perdevano!
12:39 Ricordo che passavano dei polacchi con dei bei cavalli.

[Il figlio interviene stigmatizzando il fatto che tutti li chiamassero tedeschi… mentre in realtà i soldati dell'occupazione erano solo una minoranza di tedeschi, nella maggior parte appartenevano alle altre nazionalità].

Ho saputo che erano polacchi perché la gente del paese ne parlava.
13:49 Da Boldara sono scappati solamente i Del Prà, erano dei paroni (la famiglia più ricca). Noi si aveva la campagna in affitto dai Del Prà, e loro sono scappati, perché potevano. Avevano un po' di soldi e sono andati a Napoli, scappati. Nella casa lasciata dai Del Prà andavano a dormire i tedeschi.
15:18 D. Avevate paura dell'arrivo dei tedeschi?
R . I nostri non dicevano niente.
Noi si avevano sei vacche e un cavallo, quella volta e ci hanno portato via tutto e mio papà aveva dieci figli, cinque sorelle e cinque fratelli e per questo mio papà non andò sotto le armi.
Per mangiare si andava a bisote (piccole lumache) e i tedeschi venivano in casa, su e giù e ci vedevano mangiar le bisote e correvano fuori a vomitare. Noi le mangiavamo di gusto, condite con un po' di olio e aglio e i tedeschi le chiamavano cigabiga mentre la biava (granoturco) la chiamavano cucurucia [Kukuruz]. Poi noi si andava a pescare pesce, a prendere rane; si mangiava qualche gallina e finché avevamo l'ultima vacca c'era anche un po' di latte. Ma quando ce l'hanno presa è venuto l'armistizio, e basta.
Poi il governo, il comune ha dato subito una buona vacca a mio papà, perché siamo dieci figli… e anche ci hanno dato due cavalle.
È morto in guerra in guerra un Bacchet Nicolò, cugino di mio papà, figlio di un fratello. Non so dirti come sia morto: è morto in guerra!
Ma andava per fame, eh!
Non ricordo che durante la guerra venissero dalle montagne in cerca di mangiare dalle nostre parti. 
20:33 Dopo la guerra sì, ricordo che quelli delle montagne venivano a portar giù castagne per cambiarle con le pannocchie. 
D. E' mai venuto nessuno a trovarvi, dei tedeschi che c'erano qui, dopo la guerra? 
R. No.
A Boldara, a casa nostra, sono venuti invece dei profughi dal Piave, da San Donà … la famiglia di Augusto Girardi, o meglio, da Noventa di Piave, con i quali siamo stati in contatto per un po' di tempo anche dopo la guerra. Venivano a trovarci il giorno dei Santi, uno - due anni dopo la guerra, e poi basta.
Non ricordo che i tedeschi abbiano fatto particolari violenza, oltre alla ricerca del mangiare e alle requisizioni; almeno non ne ho sentito parlare dai vecchi.
23:16 Figlio - Nel cimitero di Gruaro ci sono cinque soldati austriaci morti... Non ne sai niente? 
- Non ne ho mai saputo il perché...
25:20 Si sono impantanati anche nella stradina “dei Letti”, alla periferia di Gruaro, non molto lontana dalla strada di S. Angelo. È una zona di terra fangosa e hanno dovuto andar prendere una donna vecchia, del posto, perché gli uomini erano tutti sotto le armi. Era l'Amalia Gaiatto in Carlin e hanno dovuto andarla prendere di notte, perché gli insegnasse la strada. I figli a piangere, a prenderla per le cotole (le sottane) perché avevano paura che la portassero via, e invece loro volevano che andasse a S. Angelo a insegnargli la strada, perché era di notte.
I tedeschi cucinavano cucurùcia, biava. Facevano un fuoco e mangiavano le pannocchie che andavano a prendere per i campi.
I maiali che erano negli stavoli, portati via tutti, alle famiglie; così pure le vacche, le bestie per mangiare...
31:10 Ultimo vino ... e dono di uova all'intervistatore!
                                                                                                                                       

venerdì 26 febbraio 2010

Prima guerra mondiale - Centoquaranta interviste a testimoni civili



Sulle motivazioni che mi hanno spinto a questa ricerca si veda la premessa al libro Caporetto,storia, testimonianze, itinerari (1997).
La scelta delle persone da intervistare è avvenuta in maniera casuale.
In genere mi presentavo nei bar o dal giornalaio del paese e chiedevo ai titolari, o ai presenti, se conoscessero qualche ultraottacinquenne che si ricordasse della prima guerra. Il ritornello che accoglieva la mia richiesta era, invariabilmente: «Eh! ormai non c'è più nessuno, sono morti tutti… ». Seguiva, di norma, il ripensamento: «Ma, aspetti un po': c'è ancora il Tal dei Tali, provi a vedere lì… ». E da quello mi recavo, con registratore e macchina fotografica.
Superata in tempi di solito molto rapidi la sorpresa per l'inaspettata irruzione di un estraneo nella sua vita privata, il testimone iniziava a raccontare, e spesso commentava: «Ma guarda… , sono passati ottant'anni e mi ricordo quello che è successo allora come fosse avvenuto ieri, mentre quello che è successo ieri a volte proprio non me lo ricordo».
L'intervista era “aperta”: ponevo le domande e poi lasciavo fluire il racconto a ruota libera sul filo dei ricordi, interrompendolo quando volevo approfondire o chiarire determinate affermazioni, o quando si allontanava troppo dal periodo preso in esame.
Ovviamente la durata e la complessità delle testimonianze variavano da soggetto a soggetto. In alcuni casi il racconto si snodava con una ricchezza di particolari e una vivacità di espressioni e dialoghi davvero piacevoli da ascoltare. In altri casi invece mi toccava tirar fuori le parole agli intervistati con la pinza.
Dopo questo primo passaggio provvedevo a trascrivere integralmente (o quasi) la registrazione, segnando su un foglio a parte i punti che mi erano rimasti oscuri, le incoerenze, i particolari tralasciati. Successivamente tornavo dal testimone a chiedergli i necessari chiarimenti.
Tranne qualche rarissimo caso, sono sempre stato accolto con grande disponibilità. Anzi, alla seconda visita, venivo considerato quasi come uno di casa, una persona amica. Quando poi, al momento di separarmi, avvertivo l'intervistato che «il libro, se mai sarà pubblicato, lo sarà non prima di due anni», in molti commentavano: «Allora ti saluto, perché io non ci sarò più!», e lo dicevano con tanta naturalezza che mi si stringeva il cuore. Anche perché di solito era l'unico accenno alla morte che questi vecchi facevano.
Il loro modo di affrontare la vita ha rappresentato per me una corroborante iniezione di fiducia nel futuro. Non succede tutti i giorni di parlare con tante persone che hanno abbondantemente superato la media statistica della vita umana. Così, mentre ascoltavo qualche novantaquattrenne, mi capitava a volte di fare un rapido conto: 47 x 2 = 94. Beh! mi dicevo, posso sempre sperare anch'io di essere solo a metà del cammino…
Ritenevo queste testimonianze, da un punto di vista storico, una fortuna che non mi potevo permettere di sprecare. Vi ho dedicato anni di vita rinunciando ad altri temi più gratificanti, anche economicamente. Non so se il metodo usato sia conforme ai canoni della storia orale *. E, a onor del vero, mi interessa fino a un certo punto saperlo. Ho infatti la consapevolezza di aver raccolto “in extremis”, dalla viva voce degli involontari protagonisti, il racconto di un evento che ritenevo ormai già da tempo consegnato ai libri di storia. E tanto mi basta.
P.S.
Le testimonianze mirate sulla Grande Guerra sono state raccolte dall’agosto del 1993 al settembre 1999. L'età media di questi testimoni al momento dell'intervista era di 87 anni e mezzo.
Sono state prese in considerazione anche alcune testimonianze di persone più giovani perché ritenute utili alla comprensione complessiva degli effetti della guerra sulla popolazione civile.
Dal 1984 al 1992 ho inoltre raccolto - nel corso di altre ricerche - alcuni frammenti di testimonianze sulla Grande Guerra; frammenti che contribuiscono a formare il numero complessivo riportato nel titolo.

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Per lo "stato dell'arte" della storia orale (metodologia dibattiti, ecc.) si rimanda al sito dell'Aiso (Associazione Italiana di Storia Orale)
Molto utile anche seguire il blog della Società di Mutuo Soccorso Ernesto de Martino (VE). 
                                   
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Camillo Pavan - Treviso
camilpavan(at)gmail.com
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© Camillo Pavan 
Per la riproduzione delle interviste (consentita per usi non venali, citando la fonte) si prega di contattare l'autore.
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Dove saranno conservate queste interviste?