lunedì 15 marzo 2010

Intervista ad Antonietta (Adina) Bond - Pontet/Montecroce - Imer, TN



Nastro 1999/5 - Lato A                                17 settembre 1999

Siamo a Pontet, vecchio confine Italia-Austria nel Primiero (Val Cismon). Parlo con la signora Bond che, assieme al marito, gestisce l'albergo dove un tempo c'era anche la dogana. Di fronte a noi c'è il ponte sul torrente Cesila, che fa da confine (ora fra Trentino e Veneto, Trento e Belluno, fra il comune di Imer e quello di Sovramonte).

Subito a sud del ponte (in territorio veneto) è stato trovato un leone di San Marco che era infisso su una casa, dove ora si vede una scala che scende verso il lago. La casa è stata demolita nel 1963 e il proprietario ha venduto il leone; la signora Bond non sa a chi. Il lago che si vede si è originato fra il 1960 e il 1963, periodo in cui è stato costruito lo sbarramento per la centrale idroelettrica dell'Enel e si chiama lago di Val Schenèr, così pure la diga e la centrale che c'è più avanti. A guardia della Repubblica Veneta c'era un castello, che è andato a finire anche quello sotto l'acqua, ma era ormai già demolito. Comunque i castelli erano due: uno in territorio del comune di Sovramonte (BL) e uno un km e mezzo più indietro (in Trentino), a fianco della prima galleria che si trova sulla strada, e adesso è sotto l'acqua anche quello.

La casa che aveva il leone era abitata dai primi abitanti dello stato italiano, perché qua eravamo in Austria. 
Io sono una Bond, originaria di Mezzano, e quando qua c'era il confine, non c'erano né mia mamma né mio papà. 
Mio papà ha fatto il soldato sotto l'Austria e mia mamma abitava proprio qua, in questo gruppo di case, che allora si chiamava Montecroce. Di là, in Veneto si chiamava Pontet e di qua Montecroce. Poi il paese è scomparso. Erano quattro case in tutto, ed è rimasto il nome Pontet.
Questa casa in cui ora c'è l'albergo era del Comune di Imèr che la dava in gestione come un'osteria a uno che era incaricato dal comune di assistere quelli della valle che uscivano e avevano bisogno di pagare il dazio. Quando, dopo il '18 non ci fu più il confine, è rimasta solo l'osteria; così mia mamma l'ha presa in affitto. Allora non c'era più la dogana, quindi era solo osteria e tabacchi. Mia mamma si chiamava Malacarne Gasperina Giuseppina ed era del 1890.
Pontet = ponte piccolo; però il confine era in realtà in località Monte Croce…
Poi mia mamma si è sposata con mio padre, che nel frattempo era ritornato dalla guerra, ed era anche lui del 1890. Si chiamava Pietro Bond … Bond, come 007! 
Mio padre era stato militare in Galizia e non fu ferito; era istruttore di cavalleria. 


Pipa in porcellana del Kaiserjäger Pietro Bond, Mezzano (Primiero, TN).
Sul raccordo è impressa la seguente strofetta:
«Questa fiamma dovra servire  
Qual ricordo in avenire
Dell[e] rabbie e dispiazeri  
Che provai coi cannonieri» 

Note 
1) La tecnica utilizzata per la decorazione della pipa è la pirofotografia (o fotoceramica) che raggiunse  il suo massimo splendore a fine Ottocento-inizio Novecento grazie all'opera di abilissimi artigiani.
Essendo una lavorazione del tutto manuale, dai costi inevitabilmente molto alti, questa tecnica sarà destinata a un rapido declino a favore di forme di riproduzione fotografica più economiche.
Cfr. Ando Gilardi, Storia sociale della fotografia, Bruno Mondadori, 2000, scheda a p. 405. (Consultaz. del 28.8.2012 su Google libri).
2) Per le caratteristiche tecniche della pipa, cfr. la sezione Museum del sito I recuperanti (Mezzano a Primiero).
3) Se si aggiunge quanto scritto nel n. 1 all'ancor più grande valore affettivo - essendo la pipa appartenuta al papà della persona intervistata - ci si potrà rendere conto dell'irreparabile danno da me causato con la rottura di questo esemplare, sfuggitomi di mano durante le riprese fotografiche.
Un errore che non riesco a perdonarmi e di cui colgo l'occasione per scusarmi.  


Finita la guerra i miei genitori hanno preso in affitto questo pezzo di edificio dal comune mentre la parte di edificio più verso Primiero era di una famiglia di Fiera di Primiero, famiglia Benn, e quella era la casa in cui abitava l'impiegato del comune, gabelliere, quello che praticamente faceva le bollette del dazio; non mi ricordo esattamente come fosse chiamato.
La famiglia Benn, visto che non c'era più il gabelliere, ha venduto la casa ai miei genitori e poi in seguito abbiamo comperato noi (io e mio marito) anche il resto dell'edificio, che apparteneva al comune. 
D. Quando suo padre è tornato dalla guerra e si è trovato sotto l'Italia, cosa ha detto?
R. Ah, ben, mio papà si è fatto sei mesi di prigionia a Isernia, e se non è morto là! Per poco vi moriva di fame, erano in una prigione, non gli davano niente da mangiare e quasi morivano di fame. Li hanno messi in prigione perché pensavano che fossero gente che avrebbe fatto disordini.
Mia nonna era di Riva del Garda, ed è venuta ad abitare qua. Lei era figlia di un gendarme, di un ufficiale, non so cosa fosse; probabilmente erano proprio austriaci "nella mente" e sarà stato questo che li ha… 

Mi mostra la foto di suo padre con un fratello vestito da prete. 


Da sx i fratelli Aristide, Don Antonio e Pietro Bond, padre di Antonietta (Adina) che gestisce l'albergo "Al Lago"
ex dogana austriaca di Montecroce-Pontet - (Foto gc. da A. Bond)
So che mio padre quando è tornato a casa dalla guerra è passato dalle parti di Torbole, dove questo suo fratello era sacerdote in quel paese … e questo zio prete ha dato una pistola a mio padre. E pensare che mio padre aveva fatto sei anni di militare senza mai sparare un colpo. Questo mio zio ha dato questa piccola pistola a mio padre durante la ritirata del '18, mentre veniva a casa, alla fine della guerra.                                                                         

Intervista a Silvio Gobber



Nato a Masi di Imer nel 1912. Residente a Masi di Imer.
Nastro 1999/4 - Lato B                                         17 settembre 1999


Ero suddito dell'Austria e poi siamo diventati cittadini italiani. Qua si sentivano proprio anche nell'anima austriaci.
Poi nel '22 è venuto anche il fascismo e ha fatto opera di italianizzazione. Noi eravamo bambini e non abbiamo subito il trauma di questo trapasso. Mio padre Gobber Giovanni, classe 1874, quando è tornato dalla guerra ha conservato il suo posto. Mio padre era "sorvegliante forestale" … poi è venuta la milizia forestale, con il fascismo, ma prima c'erano questi custodi, uno-due per paese.
Pur essendo anziano, mio padre è stato mobilitato, durante la guerra ed è stato portato verso il fronte della Galizia anche lui, ma non posso dire con precisione dove….

Mi mostra le foto di suo padre, sorvegliante forestale. Sulle mostrine della divisa sono raffigurate delle foglie di quercia.


Giovanni Gobber, 1864 - Masi di Imer TN - in posa prima della Grande Guerra
L'intestazione del fotografo Luigi Gubert, che operava nel Primiero, 
presente nel retro della foto di Giovanni Gobber

Dopo la guerra gli italiani hanno preso gli abitanti di Masi che erano rimasti in paese durante il passaggio delle varie truppe e li hanno internati a Isernia. Mio padre invece, che poteva rimanere in paese, ha preferito essere mobilitato … anche perché se fosse rimasto qua sarebbe stato internato anche lui [?]…
La nostra famiglia comunque è rimasta sempre a Masi. Avevamo i militari in casa, tutto il paese li aveva…
Masi né è stata bombardata né ha visto azioni belliche; solo ha visto i vari passaggi di truppe. «Che mi abbiano riferito di spostamenti di popolazione: niente».
Mio padre (e gli adulti) avevano un ricordo straordinario dell'Impero austro-ungarico, che per loro era la stabilità. Non aveva una buona fama, l'Italia, qua in paese, quando arrivò. Per loro erano usurpatori, quasi. Qua nessuno si sognava di passare sotto l'Italia. Di irredentisti: nessuno, che ne sia venuto a conoscenza io…       

Giovanni Gobber, sorvegliante operaie forestali (1938)

Nella dedica della foto alla figlia Antonietta, 1921,
si intuisce l'amarezza del vecchio Gobber per il trattamento subìto a 44 anni
(cioè nel 1918, con la nuova amministrazione italiana) quando lui - viavaista diplomato -
 viene "Elliminato" e retrocesso a semplice sorvegliante.
                                                                                                                                  

Intervista a Giuseppe Dossotta detto Martinotti



Nato a Imer nel 1905. Residente a Imer.
Nastro 1999/4 - Lato B                                         17 settembre 1999

In paese la scuola abbiamo dovuto lasciarla vuota per i militari … io avevo fatto le prime tre classi elementari; qua c'era sempre movimento di militari…
Noi siamo sempre rimasti in paese a Imer, per tutto il tempo della guerra …  abitavamo in un'altra casa e facevamo anche allora i falegnami…
Mi mostra l'ospedale da campo che c'era ad Imer, loc. Insóli, di fronte ai carabinieri a lato della strada da Imer e Mezzano, («sóto el stradon») sui prati pianeggianti che ci sono anche ora, c'era l'ospedale da campo 0013. Per vedere gli stóli dove c'erano i cannoni italiani che dominavano la valle del Primiero si può andare sulla Vederna (monte); c'è la strada che parte Pontet … è una strada difficile… 

sabato 13 marzo 2010

Intervista a Pietro Bettega

Nato nel 1912 a Masi di Imer. Residente a Masi di Imer (TN).


Nastro 1999/4 - Lato A                         Venerdì 17 settembre 1999

Mio padre ha fatto la guerra del '18, si è fatto tre anni di Russia e «mi del quarantadoi ò fat tuta la ritirata» (della Russia, 1942-43) e ne ho fatte abbastanza, perché ne ho viste di tutti i colori…
Però bisognerebbe saper parlare … perché altrimenti sì, ero kaputt, là. Per fortuna che avevo imparato il russo, il russo lo parlavo bene. Avevamo un tratto di linea di 13 km da tenere… 
Mio padre, nella prima guerra mondiale, ha fatto tre anni di guerra. Io ne ho fatti di meno, però «di 180 uomini che eravamo, siamo rimasti in 7»; sono anche decorato e graduato…
Mio padre, Bettega Roberto è morto a 97 anni, è stato fino in Galizia; l'hanno fatto prigioniero e l'hanno fatto andare a lavorare sulla linea del treno…
E quando è stato il mio turno di andare in Russia mi ha detto: «Tu vai in Russia, adesso, prendi questa roba qua, se vuoi venire a casa». E cosa mi diede? Un santino della Madonna! E con questa sono venuta a casa. Era la Madonna, qua della Valsugana, come si chiama? E con quella sono venuto a casa. Ogni volta che mi trovavo in difficoltà io invocavo la Madonna e lei mi liberava…
Io sono del 1912 … ma non ricordo della Prima guerra, perché sono nato in Austria, e ho fatto quattro anni lavvìa e so che le prendevo dai todésch le bacchettate sul culo, perché andavo a scuola, e non lo capivo e non volevo impararlo, il tedesco. Eravamo a Nensich [?]… 
Eravamo lavvìa perché mia mamma ha fatto 26 anni in fabbrica e mio padre anche lavorava nella stessa fabbrica. Io non so però cosa facessero in quella fabbrica, perché ero piccolo…
Dopo la guerra siamo venuti qua in paese e qua c'erano mia nonna e mia zia. Così ci siamo piantati qua, e sono ancora qua…
D. Come fu il ritorno di suo padre dalla Prima guerra?
R. Era mezzo ammalato, aveva preso una bastonata … laggiù lo tenevano stretto (col mangiare)… 

Nastro 1999/4 - Lato B

… e poi viveva in certi punti a -40°…
D. Come vi hanno trattato gli italiani?
R. Gli italiani ci hanno trattato bene… io non posso dire niente, di loro … invece posso dire dei tedeschi che non posso più vederli … e ne ho anche ammazzati (durante la guerra) … e se vi racconto la storia … e i partigiani (russi) mi hanno preso … e siccome sapevo parlare russo… 
I tedeschi avevano preso una donna russa che aveva una gallina e gliel'hanno rubata. Lei si era disperata, gli diceva che aveva quattro ragazzi da dargli da mangiare [prima me lo dice in russo ... che non trascrivo perché non capisco...]. Ma loro le prendono la gallina, la strangolano e se la mettono nella bisaccia che avevano loro, i tedeschi … e poi tirano fuori la rivoltella e ammazzano anche la donna. Porcod. non ci ho più visto … ho fatto strage, li ho ammazzati tutti quattro. E i partigiani russi che erano appostati non lontano, si sono accorti del fatto, sono venuti giù, mi hanno accarezzato, mi hanno baciato [ripete le frasi russe che si scambiarono…]. Come si fa ammazzare una donna, che aveva quattro ragazzi da dargli da mangiare ... ammazzarla perché? «Orcod., disi……»… basta!
Dopo di allora … erano tre giorni che ero senza mangiare anch'io e avevo la sussistenza italiana che bruciava. Siamo andati giù, e il tenente ci ha avvertito di non farci prendere. Ho portato fuori scatolette, gallette, ecc… e dopo ci siamo incamminati. I miei compagni mi hanno detto: «Guarda che ci sono due botti di rum e di cognac», e io ho detto a loro: «Volete seguirmi o volete rimanere qua?» Abbiamo fatto sì e no quaranta metri e abbiamo trovato una quarantina di alpini; alpini cui piaceva bere … ed erano per terra, tutti ghiacciati. Avevano bevuto…
Io ero del 73° gruppo di artiglieria d'armata…
La Madonna che mi diede mio padre era la Madonna di Lourdes … e anche adesso la prego tutti i giorni…                                                                                  

venerdì 12 marzo 2010

Informazioni di Bertilla Bettega


Nata nel 1931 a Masi di Imer (TN). Residente a Masi di Imer.

Nastro 1999/4 - Lato A                       17 settembre 1999


Ascolta l'AUDIO  (integrale, senza editing) 


Località Masi di Imèr (sulla sinistra della strada statale in direzione Primiero).

Sono in attesa "del" Gòbber (Silvio Gòbber), il più vecchio del paese, che sa tutto, ed era anche segretario comunale.
Bertilla Bettega mi informa che il vecchio confine austro-italiano si trovava nell'attuale località Pontet, dove c'è l'albergo, al lago; c'è il confine, dove viene giù la valle e c'è il ponte: là c'è il cartello Provincia di Trento/Provincia di Belluno.
Il paese di Masi non è stato colpito, rovinato dalla Prima guerra; lei ha uno zio, Bettega Luigi, che è morto in guerra, combattendo con l'Austria.
Non ricorda di aver sentito parlare di maltrattamenti o di soldati ex asburgici portati in prigionia - internamento a Isernia - sono tornati normalmente.
02:33 «Ricordo invece dell'ultima guerra, che qua c'era la ritirata dei tedeschi. Mi ricordo quando sono venuti gli americani, me lo ricordo bene. 


 
04:26 D. Per voi, quelli che abitavano in provincia di Belluno, erano italiani...
R. Sì, loro erano taliani, qua siamo [i suoi genitori] andati a scuola tutti sotto l'Austria...
D. E allora parlavate tedesco?
R. Sì, anche mia mamma e mio papà, proprio tedesco ... lo si imparava a scuola.
A noi ci dicono che siamo
. Così ci dice la gente che non sa ... discutono questi uomini a volte, e qualcuno dice «noi siamo austriaci, siamo Sudtirol»... sì, sì... gli dicono gli altri... "voialtri sì italiani ciapàdi col s-ciòp" i me dise (... siete italiani presi col fucile, ci dicono).
Comunque qua c'è il confine e hanno tutti la mentalità austriaca. Serviva il confine, serviva. Siamo nati con quella mentalità che noi siamo più tedeschi che italiani.
05:29 Però noi che siamo cresciuti sotto l'Italia ci siamo trovati bene ... io sono del 1931... non ho avuto problemi a scuola ... i maestri erano nostrani, di qua.
Mio zio - fratello di mio padre - Bettega Luigi è morto in guerra, in Galizia, ma non c'è la sua foto, fuori, nel monumento davanti alla chiesa di Imer [che è genericamente ai caduti] ... mentre le foto e i nomi di tutti i caduti sono dentro alla sede degli alpini di Imer...
Si pronuncia Imèr, perché ímer, in tedesco vuol dire "sempre" ... io il tedesco l'ho imparato perché sono andata all'estero, in Svizzera.
Mi invita ad andare nella strada "dei Gusellini", sulla sinistra andando verso Imer, ma senza scendere sulla statale ... là c'è Aurelio Bettega che mi racconterà tutto... domandare "dell'Aurelio"...                                                      

martedì 9 marzo 2010

Incontro con P. P. e B. L., cercatori e collezionisti di reperti della Grande Guerra

I collezionisti abitano in due paesi del medio corso del Piave.


Nastro 1998/16 - Lato A                              10 ottobre 1998

Scatto una foto a P., in posa davanti una catasta di proiettili di bombarda ungherese recuperati - circa nel 1995 - all'altezza del ristorante Vecio Morer dentro alle grave di Papadopoli, in un tratto di fronte controllato dagli ungheresi. Ma ha altre bombarde anche dietro casa, recuperate circa tre mesi fa. Prima sono uscite le bombe e poi il cannone, con il metaldetector. Le ha trovate suo figlio. E sono venuti anche dall'Austria, ne hanno fatto un filmato.
L. : Anche la televisione del Tirolo, il 9 febbraio 1998 ha fatto vedere la Prima guerra nei filmati, il Cristallo, le Dolomiti. Proprio un intero programma sulla Prima guerra mondiale. Devo richiedergli la cassetta, perché è una televisione tirolese che trasmette da Monaco.
P. : Son sempre stato in mezzo a questi "mestieri" qua. Sono nato a [ ... ] e sempre trovata tanta roba sul Piave, anche da quando ho iniziato io, dopo l'ultima guerra. Poi ci fu il problema che non si poteva tener nulla, per via delle leggi e delle regole che c'erano e allora davo via tutto, vendevo. Poi riprendevo, perché la passione c'era sempre...
D. Ci sono delle leggi particolari per i collezionisti o è semplicemente vietato?
R. Non si può raccogliere bombe e scaricarle, né adesso né ai miei tempi. Io ho fatto la mia collezione perché i carabinieri mi hanno sempre lasciato fare quel cavolo che ho voluto, ma di per sé non si può smontare bombe. Appena trovi una bomba devi denunciarla ai carabinieri.
D. Ho sempre sentito dire che dopo la Prima guerra sono passati a tappeto la gente del posto in cerca di metallo, perché avevano bisogno di vendere.
R. Sono passati a tappeto, poverini anche loro, con i mezzi che avevano. Hanno preso su quello che "aravano".
Di solito è sempre dopo le piene [che si trova]. Io fortunatamente ho sempre lavorato "a turno" e allora di giri ne ho fatti tanti sul Piave, perché avevo mezza giornata libera. Ero operaio, ora sono pensionato. Ho sempre avuto questa passione, fin da piccolo. Forse sarà stato perché avevo la caserma dei carabinieri a fianco dell'officina dei miei poveri nonni e di mio papà, sempre qua a [ ... ] . Che io mi ricordi, i carabinieri davano sempre a mio fratello dei fucili, per trapanargli la canna, fucili da caccia. Mio fratello era fabbro e lo è ancora adesso, nello stesso posto, ma faceva anche queste cose: con i fucili da guerra faceva fucili da caccia.
L. : Come facevano a trasformare un fucile da guerra in un fucile da caccia?
P. : Bastava trapanargli la canna. La canna, invece di avere un foro da pallottola, gli facevano un foro più grande dove mettevano una cartuccia da pallini. Ce n'erano in giro di questi fucili fino a qualche anno fa, i famosi '32. Come otturatore restava tutto ... il resto ... e tutto questo lo faceva con tranquillità un artigiano, con il tornio.
L. : È come adesso con i 762 della Nato, un moschetto: gli fai un foro dentro,  vanno benissimo i proiettili là.

I proiettili della raccolta di P. (fotografati), sono ancora carichi. Le bombe dentro sono ancora nuove, perfette; hanno le guarnizioni in piombo. 

Bisogna stare attenti a come le si scarica, perché rischiano di fregarmi la pensione! Nel senso che salto in aria. Ormai la mano rischia di non essere più tanto precisa. Tuttavia le bombe sono sempre a rischio, se vogliono [i carabinieri] te le portano via. 
[...]
Io compro anche tanta roba.
D. Vuol dire che c'è un commercio di questo materiale?
R. Eh, c'è un commercio! Solo che non c'è roba! Ormai è difficile trovar roba. Ormai la roba è quella che è, il Piave non butta più fuori niente se non rottami. Ormai dal Piave vengono fuori rottami, non viene fuori, che so, una baionetta sana. E poi ci sono un sacco di collezionisti nuovi che vengono su, ma poverini, non sono esperti ... e poi non ci sono soldi da comperare la roba. Ci sono i siori che comprano e rovinano il mercato, magari pagano una baionetta 3-400 mila lire; 7-8-900 mila una spada e avanti.
L. : Dove lavoro io in Germania fanno una volta all'anno una mostra di armi vecchie, ma lassù, non c'è neanche un decimo di quello che c'è qua. Ed è tutta roba otturata, tutta roba piombata, mentre questa è tutta roba originale e (al limite) funzionante.
P. : Ho trovato un fucile napoleonico (con la baionetta in canna) anche l'altro giorno, a Lovadina, o meglio Alle Mandre [Santa Lucia di Piave]. Un fucile ce l'ho che ha ancora la pietra focaia su. Addirittura ho trovato un fucile di quelli molto più rari e quello che ho trovato l'altro giorno si vede che era in dotazione alla fanteria. L'altro invece era in dotazione ai dragoni, l'ho trovato un tre anni fa. Diana Armi parlava che ne erano stati fatti solo duecento, e Napoleone li ha dati alle guardie della Regina. Prima io ho trovato il fucile e dopo mio figlio ha trovato la baionetta. 
Il fucile che ho trovato l'altro giorno, napoleonico, era senza legno e senza niente, aveva la canna con la baionetta e l'ho dato l'altra sera al maresciallo! Aveva l'impianto per la pietra focaia e quella roba là. 
Il maresciallo l'ha voluto per metterlo lui in taverna e allora, siccome lui mi aveva portato dell'altra roba, ho fatto scambio. Guai se non si fanno degli scambi, muore l'industria!

Mi porta a vedere la sua collezione iniziando dalle ultime bombe che ha trovato: "sorelle" di quelle che sono fuori in giardino.

Poi ho una "barella" per traino cannoni originale austriaca, sempre della Prima guerra («non ho niente della Seconda guerra»): l'ho trovata in una soffitta, in sinistra Piave.
Di volantini ho solo quelli che trovo io dentro le bombe. Ho trovato volantini di propaganda in italiano, in cecoslovacco, in polacco. Ne ho uno a casa, incorniciato (italiano) poi gli altri li ho portati al museo di [...]
... Quelle sono le ruote del cannone che è fuori, del lanciamine ungherese. Ho dovuto cercare non so quanto per trovarle, perché gli levavano le ruote per piazzarlo (postarlo). Le ruote le ho trovate su una casa... Posso dire che sono di quel lanciamine perché l'ho visto sui libri e poi ho parlato con altri collezionisti.
Le ruote venivano levate, per sparare, altrimenti con il rinculo scappava anche il cannone.
Bombarda italiana ... questa è piena di catrame. Ce ne sono di piene di catrame, piene di segatura; le utilizzavano per fare esercitazioni. Sono bombarde italiane e le abbiamo trovate appena giù dal ponte dell'autostrada, in Grave di Papadopoli.  Forse utilizzavano quelle con il catrame (o con la segatura) come prove di lancio. Una l'ho trovata piena di ghiaino, ma sempre con la spoletta su. Era per risparmiare sul materiale. Erano tiri di prova, per calcolare la balistica del tiro. Ne ho trovate anche piene di polvere da sparo, per quello. Ovviamente sempre bombe non esplose, quelle esplose non si trovano, è chiaro … pur essendo in grava un terreno ghiaioso, ma a volte si torcono, dal colpo [e non esplodono]. Dipende da come la bomba cade nel terreno, perché sopra, in cima, la bomba ha la spoletta in ottone. Se la spoletta non prende il colpo giusto per comunicare l'esplosione interna, salta via la spoletta e la bomba resta intatta. A volte le bombe sono anche difettose. Mi è capitato di aver visto bombe sparate con la sicura ancora su, da quanto ignoranti che erano i soldati. 
Eh, ci sono di quelle storie! Bombe a mano senza polvere dentro (italiane): è come tirargli un sasso sulla testa. Strano? Siccome sono fatte sempre con una macchina anche le bombe, se i dosatori sono vuoti per buttar dentro polvere e l'operaio non è pronto con il sacchetto a riempire il dosatore, la macchina va avanti lo stesso e quella più avanti chiude.
D. E' vero, ha notato anche lei che gli austriaci, negli shrapnell, mettevano dentro pezzetti di ferro, nell'ultimo periodo, anziché palline di piombo, come mi ha detto un suo collega sloveno?
R. Sì, ho trovato, ma erano fatti apposta, però; non erano fatte per risparmiare. Sono pezzetti di ferro ... in realtà dentro c'è un tubo così, a frammentazione prestabilita, che ha un buco dentro pieno di tritolo e quando scoppia la bomba i pezzetti di ferro si staccano tutti e fanno come le nostre palline.
Loro mettevano dentro di tutto, per esempio su queste bombarde qua, nell'ultima fase della guerra – ora non so se lo mettessero per il peso, o cosa – ci mettevano dentro degli anelli che si trovano anche dentro le bombe normali, tutti frammentati, tutti segati al momento dello scoppio, può darsi che anch'essi facessero schegge... Ma se li mettevano solo nella parte posteriore può essere che servissero come contrappeso per la bomba, dico io.
Paletti per reticolati [a coda di porco ... non li chiama con un nome particolare].
L. precisa: erano usati quasi tutti, dopo la Prima guerra, per rinforzare il cemento nelle costruzioni edilizie. Cemento armato...  
[...]
P. : Nel tempo libero mi dedico sempre a queste mie ricerche di reperti.
A Stabiuzzo, dai Sette Nani, recentemente hanno tirato fuori – ma con un trattore – un barcone da sbarco austriaco, e l'hanno completamente rovinato.
A Negrisia hanno trovato un paio di casse di bombe, l'anno scorso, ancora perfette, complete con il loro bossolo di ottone.

Proseguiamo nella visita della collezione privata, ora siamo davanti alle spade e sciabole di cavalleria, quasi tutte della Prima guerra, tranne una borbonica (ha fatto scambio). Inoltre P. ha numerosi pugnali "ricordo della guerra".

P. Erano fatti in trincea dai soldati con le "corone" delle bombe, le corone di "forzamento" delle bombe. Ne avevano del tempo! Non facevano mica la guerra tutto il giorno ... e poi c'erano degli artisti. Guarda questi due qua, ricavati da due schegge di bomba! Me li ha dati una signora, le aveva raccolti suo marito. Sono tutti cimeli risalenti al tempo della "Guerra europea".
Bombe a mano SIPE, italiane, rintracciate una alla volta e poi gli ho dato, perché si mantengano e perché non mi piace vedere la roba ruggine, gli ho dato una vernice.
Io ora non tengo più bombe austriache, ne ho solo qualcuna. Ho il primo tipo di bombe (non bombe a mano), prima che inventassero quelle con la corona di forzamento. Corona che serve ... siccome la canna del cannone è rigata, la corona è quella che dà la direzione alla bomba ed è messa alla base del bossolo ... mentre l'esplosione avviene in seguito all'urto della spoletta messa in punta al proiettile ... ma possono esserci anche delle spolette nella parte sotto del proiettile...
Ho trovato materiale (proiettili, bombe in ferro) di origine napoleonica nel Parabàe [terreno, campo di esercitazioni] di Maserada. Erano palle di [ferro] ... che pesano 68-69 chili ... non esplosive. Mi manca quella da quintale, o meglio da 90 kg. So che c'è, perché i contadini l'hanno trovata, ma non sapendo di che si trattasse, l'hanno venduta al ferrovecchio...
Ho bombe d'aereo: una l'ho trovata a S. Donà...
Fucile '91, Carcano, della fanteria ... più il modello corto. I soldati avevano anche in dotazione il cacciavite per regolarlo e l'oliatore per oliarlo. Sparava sei colpi ad introduzione manuale, un colpo alla volta, cal. 6,5.
C'è un mod. di '91 per truppe speciali (TS) ... che portavano anche un tipo di baionetta diversa.
L. : Mi sembra che nella Convenzione di Ginevra il cal. piccolo 6,5 sia stato proibito ...
P. : Baionette ... ne ho di lunghe sui 30 - 35 cm.
Vari tipi di fucili '91 più un lume per il '91, un lume che va portato dentro la canna, per le sentinelle. Si appendeva con uno spago. L'aveva conservato a casa sua un vecchiotto; aveva una bella collezione di lumi ... ma poi gran parte li ha venduti.
Fornelletti da campo ... stufe da trincea ... cassette di munizioni ... cassetta di raffreddamento di mitragliatrice austriaca e italiana, raffreddamento che avveniva ad acqua...
Scudo da petto ... per andare sui reticolati e lo usavano anche sul Piave, perché sul Piave li ho trovati. Trance per i reticolati: ho ancora quelle inglesi solamente...
Una custodia per il badile, piccozze austriache, proiettili 65-75 mm per cannoncini da campagna e trincea, italiani e francesi. Uno sterilizzatore per materiale sanitario.

Nastro 1998/16 - Lato B

[Continua la visita con elencazione dei reperti della collezione privata di P.]

Elmetti, italiani = leggerissimi; quelli austriaci = un po' più pesanti, ma non servivano niente neppure loro, una pallottola li passava comunque. Gli elmetti servivano più che altro per cose che cadevano, non proiettili diretti, un po' come adesso nei cantieri, basta pensare che con una pallottola quasi si riusciva a forare uno scudo da circa un cm di spessore...
Collezionisti di reperti della Grande Guerra: ce ne sono "una marea". Ce ne sono tanti che fanno [collezione di] roba del Piave, il piccozzino... [quello che si trova]. Io ne vedo tanti che vengono a comprar roba qua da me, che iniziano adesso, che vanno per il Piave, che provano a vedere. Ma ormai dal Piave viene fuori poco,  qualche baionetta. Ecco, se uno ha la fortuna di trovare qualche àncora... altrimenti si trova ormai tutto distrutto sul Piave. Nella mia collezione non c'è una baionetta del Piave. Perché girano nel Piave, i sassi, si consumano, si disfano. Gli anni sono anni.
Ormai per trovare roba buona: in montagna, ma soprattutto chi disfa le collezioni; magari muore il padre e il figlio dice "aspetta che mi prendo due tre soldi".
Bombe a mano austriache, con manico di cartone oppure cartone e legno ... forse perché dovendoci stare dentro del materiale esplodente nel cartone ce ne stava di più che non sul legno; dentro ci corre la cordicella, che doveva essere tirata e la bomba esplodeva "a tempo".
Macinini da caffè italiani, da campo.
Reticolati: l'ultimo tipo lo facevano con la catena [?]. Il mio pezzo proviene dalla montagna. Ho anche una trancia per reticolati, con la baionetta sulla punta, trovata sul Piave, tipo svettatoio. È un "brevetto Malfatti", con un manico in legno, lunghezza di circa 2 metri, usata anche nel Piave 1917-18. 
La maggior parte di queste cesoie Malfatti, secondo P., erano comunque usate in montagna. Il nemico comunque, sul reticolato metteva "i campanelli": scatolette, il rovescio della gavetta con un piccolo battocchio.

Elmetto: c'è un foro da punta di piccone. Ho anche uno scudo da elmetto austriaco, che viene da Fagarè: una "corazzetta" da applicare davanti all'elmetto per cecchini, che devono mettere fuori la testa; l'elmetto aveva dei ganci appositi. 
Porta maschera antigas con scritta. Avevo anche una maschera nuova ma l'ho venduta a un amico che faceva [raccoglieva] solo maschere.
Forbici per suore infermiere, con la croce; altre forbici con la figura del re e della regina.
Ho trovato una trincea a Candelù, dopo le piene del Piave, e dentro c'era calamaio e pipa. Se l'acqua della piena dura tanto, poi quando si ritira porta via tutto; se invece dura meno, porta allo scoperto i reperti, e lo fa perché arriva sulla riva del fiume dove c'era la trincea.
Ho una raccolta di bottiglie provenienti tutte dall'Adamello, sono una differente dall'altra e sono tutte straniere.

In pratica tutta la taverna del sig. P. è piena di reperti. 
«Roba unica, unica», sottolinea L.

Pentola a pressione in ghisa smaltata blu, non italiana, di marca Bubka [?]; funziona ancora.
Fotografie: L. dice che in uno degli ultimi concorsi nazionali di fotografia fatti nella villa veneta costruita dal Palladio vicino a S. Biagio di Callalta presso il centro commerciale, a fianco, nella casa del fattore ( ... ) dentro in cucina c'è una fotografia grandissima che ritrae l'atrio di questa villa pieno di fanti e con sotto scritto, "prima del contrattacco": una foto bellissima.
L.  Parla dell'antichità del guado sul Piave di Lovadina e dei reperti trovativi. Sulla strada Ungaresca, dove c'era il monastero.
P.  Mi mostra una daga in dotazione ai pionieri austriaci; ne ha diverse.
P. : «Z. degli Armigeri del Piave è pieno di mitragliatrici: può fare la guerra da solo!».
P. Ho il diario e la "cassetta" di un ufficiale, con tutta la sua carriera e tutti i sui oggetti in dotazione. Questo ufficiale si chiama Alessandro Frescura, classe 1892, domiciliato a Milano. Ci sono i fonogrammi che scriveva in guerra e le carte di un duello, il verbale vero e proprio: «Oggi 16 maggio 1932 alle ore 15 in una località nei pressi di Milano si sono battuti alla spada, conformemente al precedente verbale ... il marchese Giancarlo Cornaggia Medici e il seniore Alessandro Frescura assistiti dai rispettivi rappresentanti qua sottoscritti. Lo scontro è stato diretto dal comm. Adolfo Cotronei. Alla terza ripresa il seniore Frescura ha riportato una ferita da punta al terzo inferiore dell'avambraccio sinistro penetrante per circa due cm in profondità. A giudizio concorde dei due sanitari dottori Sonni e Battarini è stato stabilito che il seniore Frescura è venuto a trovarsi in condizioni di evidente inferiorità tali da non poter continuare lo scontro che è stato fatto cessare. Gli avversari non si sono riconciliati.
Letto, confermato e sottoscritto».
Frescura era decorato con medaglia d'argento al valor militare, era stato ferito al braccio e ai polmoni durante la guerra. Era ardito.
[...]
P. C'erano anche tedeschi non solo austriaci durante la battaglia del Piave, giugno 1918. [...]
Le prime granate, all'inizio della guerra, non avevano la "corona di forzamento" ma avevano delle "tacche" ed erano chiamate "modello Cavalli".
Ho anche varie bombe a gas, che sul Piave erano molto utilizzate. Se ne trovano ancora nelle campagne, quando arano in profondità. In quei casi si chiamano gli artificieri, sono caricate soprattutto a iprite.
[...]
Proiettili da 420 sul Piave: uno è in piedi a Candelù in piazza. Penso che siano stati lanciati da cannoni su ferrovia.
Stokes: "granate per lanciabombe di tipo Stokes" con cui venivano lanciati anche dei volantini... ovviamente erano senza esplosivo; erano cal. 80 ca. È un piccolo mortaio, anche se sul libro viene ufficialmente chiamato "lanciabombe".
[...]
I "tedeschi", durante la battaglia del Piave giugno 1918 erano sul Montello, non sul Piave.

Nastro 1998/17 - Lato A

I due morti a Candelù li ha trovati un mio amico, un certo B. da Roana, e io sono andato ad aiutarlo a tirarli su. Una volta questo B. abitava a Treviso e andava sempre sul Piave, ora ha fatto un museo anche lui. Li ha trovati con il cercametalli, in una buca. Frammenti di ossa: un'esplosione, c'era un fucile austriaco e l'elmetto italiano.
Sempre questo mio amico, addosso a un altro morto italiano, nelle giberne aveva trovato del chinino e una corona del rosario.
Le ossa le ha mandate, tramite l'Associazione combattenti...
L. Mi mostra alcuni dei suoi volantini, alla fine dell'incontro.
Mi legge un volantino di propaganda italiana, in tedesco in cui fra l'altro è scritto che in tutto l'impero c'è la fame e la carestia "e la porzione di farina è stata ancora ridotta e il popolo muore di fame ".
Anche P. ha un volantino, in italiano: «se lo leggi muori dal ridere», dice.
L. Ci sono appassionati e appassionati di reperti. C'è quello che porta a casa per fare commercio ed è distruttivo... 
P. Comunque c'è un grande commercio. Nelle bancarelle dei mercatini è tutto rifatto. Va finire che le fanno ex novo, anche [i commercianti stessi]: alle bancarelle non avvicinarsi neppure. Io le ho frequentate le bancarelle e ho tratto la conclusione che è meglio stare a casa. Oggi mi avevano invitato ad andare a Pordenone alla fiera di queste cose qua; poi se magari c'è qualcosa di buono lo mettono a prezzi proibitivi. Io preferisco scambiare con i colleghi. Oppure compro, anche, e spendo un sacco di soldi. Ma compro dove so.                                                                        




domenica 7 marzo 2010

Intervista ad Arnaldo Pagnin

Nato nel 1911 a Bagaggiolo di Roncade (TV). Residente a Bagaggiolo.

Nastro 1988/27 - Lato B                                    17 maggio 1988

Non ha mai sentito la storia di Giuliaj ? … lui è cecoslovacco, cosa è? … su di là…
D. Cecoslovacco o ungherese?
R. Dovrebbe essere fra l’Ungheria e la Cecoslovacchia, non so, perché dopo sono stati invasi dai russi, loro…
Suo nonno era generale, il nonno di questo che è qua adesso ... e ha tradito la patria. E gli italiani per ricompensa gli hanno dato questa tenuta [agricola… perché questa tenuta qua era sempre in mano del governo, come quest’altra di Ca' Tron. Questo avveniva durante la prima guerra '15-'18…
Eh, mi ricordo io della prima guerra '15-'18! Mi par di vederli adesso quando si ritiravano dal Piave, avevo sette anni, ostia. Dall’11 al '17 … sei anni. Mi ricordo che si ritiravano e andavano verso il Po. Mi par di vederli adesso … le artiglierie che passavano.
D. Dove passavano?
R. Qua. Qua c’era un ponte, che l’aveva fatto il genio … un ponte che venivano giù di qua, attraversavano il Sile e poi andavano verso giù…
D. A Trepalade, qui, attraversavano il Sile? Avevano fatto un ponte di barche…
R. Fatto di barche. Il genio, il genio…
D. E andavano giù per dove? (…)



R. Per la [strada] Triestina! Non c’è la Triestina, là?… 
[Provenienza San Donà di Piave, direzione Mestre] …
                                                                 

Intervista ad Attilio Moro

Nato a Rivalta di Casale sul Sile (TV) il 9 gennaio 1909. Custode di villa Mantovani (Rivalta di Casale).

Nastro 1988/23 - Lato A       (da 27:07 su originale)                   3 maggio 1988
Attilio Moro
Villa Mantovani era un ospedale per i feriti. Qua c'era il ponte sul Sile...
D. Come, un ponte?
R. Un ponte, sì, fatto dai pontieri ... era dritto verso Monastier. Cannoni, truppa, passavano di qua. Andavano a Monastier per questa strada: al capitel... dal passo [a barca de Trinca] per Sant' Elena e Roncade...
Qua c'era l'ospedaletto da campo, e noi quando venivano avanti le autoambulanze americane... 
Il ponte era a palafitte e a barche ... era stato fatto un po' misto, perché è profondo il Sile, ha circa 17 metri di profondità, qua... perché passano barche anche di 7-8000 quintali.
Ancilotto [Giannino] ha buttato giù un apparecchio una volta. Tutto intorno c'erano dappertutto pallottole ... per terra, in cima ai coppi, dappertutto. Ancilotto viene qua... avevano buttato giù un apparecchio, ["tedesco"] qua, in un campo della famiglia Marcon. Aveva mitragliato un apparecchio tedesco e dopo arriva qua Ancilotto con una moto di quelle grandi e chiede: «Dov'è caduto l'apparecchio?» Sapeva che era qua vicino ... infatti siamo andati insieme, siamo andati là a vedere ... e il tedesco aveva tirato fuori la pistola per vedere se poteva ... era un sergente. Il tenente era ferito a un braccio e non poteva muoversi, aveva tutto il sedile pieno di sangue ... e il sergente maggiore ha reagito con la pistola. Sicché è arrivato Ancilotto e gli ha puntato la pistola, [poi] gli ha reso gli onori e gli ha dato la mano e poi li ha portati qua nell'ospedaletto, tutti e due. L'apparecchio è rimasto là nel campo, in mezzo alla vigna ... dopo sono andati a disfarlo...
Feriti... uh, Madonna! Feriti ... e di quegli urli, alla notte! 
Io ho ancora la fotografia con l'apparecchio che è cascato, con noi là vicino che si guardava, con gli ufficiali...

Nastro 1988/23 - Lato B

[Il chirurgo che operava] ... mi ha mandato un dolce, dopo, da Genova. Ho chiesto all'avvocato [proprietario della villa] di farlo entrare, a vedere la sala operatoria dove operava lui, era il tenente Alberto Bottini. È venuto che sarà dieci anni, e mi ha lasciato un bigliettino, ma non sono più capace di trovarlo...
Le operazioni le faceva nella sala grande in centro...


Giannino Ancillotto con aereo Caproni.
Cartolina emessa in occasione dell'Esposizione Storica
dell'Aeronautica Italiana, Milano, 1934

                                                                        

Intervista a Dante Marchetto


Nato il 22 agosto 1910 a Portegrandi (VE). Residente a Portegrandi.

Nastro 1988/18 - Lato B      (da 13:00 su nastro originale)          Sabato 30 aprile 1988

Noi siamo venuti qua [all'osteria-negozio di Portegrandi] nel '18, appena dopo la guerra. Mio papà abitava nell'agenzia di Veronese, durante la guerra, la prima guerra mondiale, e tutti quanti sono andati profughi, distante, perché erano qua sul Piave, i tedeschi... 
Il padrone (Luigi) Veronese diceva a mio papà: «Momi - ha detto - tu prepara la roba sui carri, masserie, letti, roba... preparala sui carri che quando ci sarà proprio la rotta io ti avverto» ... perché lui era militare qua a San Micièl [a Quarto d'Altino], era dell'autocentro ... «e dura, resisti fin che puoi... ». E mio papà ha resistito, ha resistito fino a che sono stati respinti sul Piave, i tedeschi...
Mio padre all'epoca abitava dopo la chiesa di Portegrandi, nella sede centrale dell'Agenzia Veronese [dove c'è il capitello della Madonna Nera]. L'Agenzia non è stata colpita dalle bombe; là c'era l'ospedaletto, per i feriti che venivano dalle linee e non fu mai colpito neppure quello...
Le bombe ci passavano di sopra, anche i gas asfissianti, una cosa e l'altra. Io avevo sette otto anni e mi ricordo come adesso, mi ricordo come adesso perché a casa mia c'erano gli inglesi che sono venuti qua ad aiutarci. Erano della sanità ... roba di medici, quella roba là ... e avevano sulla mia casa, diciamo ... mia? di Veronese! ... dove abitavo io ... avevano recapito con le autoambulanze.
D. Erano inglesi o americani?
R. Inglesi, no americani ... inglesi.
C'era, poco distante da dove adesso c'e la lapide … una volta c'era un mulino, di quelli di una volta, che funzionava a corrente, aveva le mole; non con l'acqua, con la corrente elettrica, c'era una cabina, un trasformatore. Il mulino era dove adesso c'è la lapide. Era di proprietà dell'agenzia, ma dentro c'era un mugnaio che lo gestiva, Gildo Gasparinetti. Il mulino durò fino a un anno-due dopo la guerra, dopo la seconda guerra. La gente andava là a macinare ... a Musestre si andava a prendere la pasta, perché c'era un pastificio...
D. Come era la situazione, in agenzia, durante la prima guerra?
R. La situazione è stata questa: appena finita la guerra, Veronese chiama mio papà in mezà... chiamano mezà l'ufficio, là dove ci sono i padroni, dove c'era il contabile che teneva tutta quanta la contabilità ... ma dopo, erano ladri! I Veronese rubavano fuori anche Dio! E Veronese dice: «Senti, Momi - mio papà aveva nome Giuseppe ma era chiamato Momi, come soprannome - guarda che io mi ricordo di te ... sei rimasto qua, hai fatto la guardia all'agenzia... ».

Perché facevano lavorare anche i prigionieri ungheresi che erano qua ... perché i mobili dell'osteria, quando l'abbiamo aperta li hanno fatti gli ungheresi, i prigionieri. Uno si chiamava Kòciss...

E Veronese ha detto: «Senti, qua ci sono due posti, adesso, per te ... se vuoi andare a Portegrandi, Alle Porte (si diceva Alle Porte) ti do' l'osteria (l'osteria era sua di Veronese) ... e sennò se vuoi, puoi andare a Casale sul Sile - dove aveva una filanda. Scegli tu, come vuoi». 
Mio papà gli ha detto: «Senta, paron, se lei crede, a me piacerebbe andare Alle Porte ... là in osteria».
Noi eravamo tre maschi e due femmine, mio papà era del 1873 e ha vissuto fino al 1942 ... quando io ero richiamato a Napoli e mi hanno mandato un telegramma di venire a casa che mio papà stava poco bene e dopo è anche morto.
Pavan. Mi racconti dei prigionieri ungheresi, di questo Kòciss...
Marchetto. I prigionieri che lavoravano qua venivano giù dal Piave, a plotoni affiancati ... ma quanti! E allora sulle agenzie agricole, avevano l'autorizzazione di tenersene un pochi, a lavorare la terra, una cosa e l'altra, per i bisogni che c'erano...
Il padrone si chiamava cav. Carlo Veronese ... e dopo è stato anche deputato (ma non si diceva "deputato" con Mussolini...).
(…)
Prima di che la prendessimo noi, c'era sì l'osteria, e la gestiva Nino, che era imparentato con un altro oste che era alle Trepalade, là dove adesso c'è Cesaro... ma con la guerra questo Nino è andato via... e così è rimasto padrone Veronese.
Allora abbiamo aperto noi. Puoi immaginarti, quando abbiamo aperto non avevamo niente. Con le scatolette di carne che davano ai soldati ... battevamo l'orlo e ci mettevamo un pezzo di filo di ferro come manico e ... al posto dei bicchieri le scatolette di carne vuote!
Poi questi ungheresi ci hanno fatto il banco, un bel banco - e finita la guerra sono andati via subito, gli ungheresi - ma prima hanno fatto a tempo di farci il banco.
Perché quando sono venuti i tedeschi qua sul Piave, hanno preso tutti quei prigionieri là ... e poi la guerra è andata avanti mesi ancora ... non tanto, ma mesi.

Nastro 1988/19 - Lato A  (fino a 0:47 su originale)

Il banco è stato costruito costruito in particolare dal prigioniero Kòciss, che era falegname ... poi c'era anche uno più anziano di lui, che era austriaco, che lo aiutava...
 
 

Intervista a Giulia Foltran

Nata il 17 maggio 1898 a Case Bianche di Collalto (TV). Residente a Collalto di Susegana.

Nastro 1994/26 - Lato A                11 agosto 1994

[È presente all'intervista il figlio, che interviene]

Siamo andati profughi a Cavolano, dalle parti di Sacile ... siamo andati con il carro e i buoi. Ci siamo trovati anche bene, non abbiamo patito molto ... avevamo da mangiare ... tanta biada che il padrone ci ha lasciato...
Eravamo sotto Velluti, el conte Nani Velluti...
Al ritorno, la nostra casa era ancora sana perché eravamo un po' distanti dal Piave...
Non abbiamo patito la fame...
Siamo stati un anno profughi ... e il padrone conte Nani ci aveva lasciato tutto quello che ci serviva. Ci voleva bene il padrone, ci ha lasciato nel carro la biada per un anno... e nessuno ce l'ha portata via...
Siamo andati profughi in tre famiglie (...)
Abitavamo alle Case Bianche di Collalto. Eravamo in sette figli, 4 sorelle e tre maschi. Mio padre si chiamava Fortunato e la madre Giuseppina Marcon...

Interviene il figlio che conferma come anche suo padre dicesse che i profughi erano stati trattati bene ... e continua:

Mio padre (Vittorio Trentin, classe 1892, da Susegana) era in guerra, degli arditi... e poi dopo Caporetto si è trovato proprio di là del Piave di fronte al ponte della Priula: ha fatto la guerra in casa.
Mio padre mi raccontava che ogni tanto con gli arditi faceva delle incursioni da di là del Piave al di qua per vedere come poter fare per far una controffensiva ... riuscivano a passare perché conoscevano tutti i posti...
Mio padre diceva che pur essendo degli arditi, in guerra non aveva mai ammazzato nessuno...
Prima era stato a Caporetto, proprio nella zona dello sfondamento.
Il suo ricordo della trincea era soprattutto il silenzio. La peggior cosa che ci fosse era che non si sentiva nessun rumore né niente; il silenzio assoluto. Il soldato che resisteva si salvava, gli altri li prendeva un momento di pazzia, andavano fuori dalla trincea e venivano ammazzati...
E mangiare cos'è che mangiavate? chiedevo da piccolo a mio padre: «Il giorno che si mangiava bene si mangiava fagioli», rispondeva...
Sull'Isonzo si è fatto 8 mesi di trincea. La ritirata fu un disastro ... senza direzione, ma il suo gruppo è rimasto sempre organizzato, in retroguardia...
Poi è venuto a far la guerra in casa ... e con lui ce n'erano anche altri soldati della zona...