lunedì 3 maggio 2010

Intervista ad Antonio Gastaldin

Nato nel 1900 a Badoere (TV).

Nastro 1988/31 - Lato A                         26 agosto 1988

Dopo l'armistizio ci hanno mandato a casa [...] ci hanno mandato a casa noi che avevamo fatto poco il soldato. Avevamo fatto un anno, noi, perché dopo l'armistizio ci hanno tenuto ancora un mese due. Un anno abbiamo fatto e poi ci hanno mandato a casa. 
Tutti i soldati avevano fatto sette otto anni, allora ci hanno mandati a casa un anno, siamo venuti a casa. Ci hanno dato 50 lire che si poteva prendersi un vestito ciascuno, così, e siamo venuti a casa un anno. 
Dopo un anno ci hanno chiamato ancora sotto le armi, e dopo abbiamo fatto due anni. Hanno cominciato a chiamarci tre mesi per tre mesi, e ho fatto altri due anni, dopo. 
Era finita con la guerra, ma era tutta una rivoluzione, un disastro, tutto il giorno scioperi. Mi hanno mandato in caserma a Bergamo, sulle brande e un pezzo di tavola. Alle volte ci mandavano in treno; hanno mandato via la macchina e un pochi di vagoni e noi restavamo "impiantati" là...
Ma a volte, quando andavamo a Bergamo, quando andavamo a Milano ... di quegli scioperi, diobon che era, che era da aver paura! Non mi hanno fatto niente, ma scioperi erano. Una volta ci siamo alzati di buon'ora, suonano l'allarmi e dicono che c'è sciopero. Sciopero, veniamo fuori - perché a Bergamo ci sono anche tanti stabilimenti - tutte filande, la maggior parte, ma tanti.
Vediamo tutte bandiere rosse sopra, sopra i camini degli stabilimenti, mariavergine. Gridavano tutti «siamo padroni noi, oramai siamo padroni noi» ... sa, la folla. C'era una folla che faceva sciopero ed era lunga non so quanto, ma c'era un tenente che ha detto: «Ragazzi, calmatevi, perché io vengo avanti con la mitragliatrice». Perché era arrivato, c'era un presidente che era anarchico, non mi ricordo più chi fosse. Era [Errico] Malatesta, che era in prigione là, a Bergamo. Sono andati per aprirlo [i manifestanti volevano liberarlo] e tutto ... ma l'hanno fatto uscire nel retro e l'hanno trasportato a Bologna in un'altra prigione.
Il tenente ha invitato i manifestanti a calmarsi, perché lui aveva l'ordine di sparare, e si sono fermati.
Era tutta una musica. Dopo un mese che facevano sciopero e che dicevano «siamo padroni noi» non avevano più soldi per pagare, e nessuno gli dava più niente. Allora è venuto fuori Mussolini.
Fatti di Badoere, 1920
Quella volta dell'incendio della villa del conte [Nicolò] Marcello... Ero anch'io un suo fittavalo e i contadini volevano cambiare il contratto d'affitto. Ma il conte non voleva firmare. Perché lui veniva qua ogni tanto, mentre di solito abitava vicino a Mestre. Volevano che lui firmasse, ma lui non firmava.
D. Nel Palazzo, abitava o no [il conte]?
R. No. Era un'azienda che aveva tanta terra. C'era il fattore che si chiamava Ettore Vettorazzo.
Dentro avranno avuto quaranta vacche. Perché avevano tutto il bosco; sa dov'è il bosco ... a Morgano. Là era tutto suo, che lavorava anche la campagna dalla parte di qua. Era tutto suo a Levada.
Firma o non firma, un bel giorno si sono riuniti tutti i contadini di Marcello. Sono andati in piazza, c'era la caneva; dove adesso c'è quella bottega di Pasqualetto c'era una cantina di vino. Sono andati dentro, si sono ubriacati quasi tutti. «Ndémo, ndémo» e sono andati in là. 
È passato uno che adesso è morto - adesso non c'è più nessuno - ha preso la mazza e ha spaccato la macchina per battere frumento, che c'erano quelle macchine allora. Va sulla [...] e butta giù tutte e gaéte, i cavalieri, vrum, basso.
Me lo raccontavano, perché io non ho visto ... ma poi c'ero anch'io, perché ho sempre tanto lavorato; poi sono andato a vedere.
Poi hanno cominciato a dire «c'è la cavalleria». C'era un barco davanti, me lo raccontavano, perché io questo non l'ho visto, ma ho visto il fatto là [?]
Hanno lasciato andare le vacche, la boaria. Ha preso fuoco il barco e poi tutti i sostegni dei bachi da seta, che erano facilmente infiammabili.
Poi li hanno messi in prigione, e c'è chi vi è rimasto anche un anno due. Poi li hanno perdonati.
E uno che stava proprio qua vicino a me, perché noi abitavamo proprio sul "circolo" [sulla rotonda], el circolo de Badoere gli dicevamo noi...
Questo, che non era il conte, era un altro proprietario, era un Roncato, che aveva dei terreni. [...]
[Gli avvocati] volevano salvare un fittavolo, quando hanno fatto il processo. «Cosa volete fargli, erano ubriachi, avevano bevuto, e poi lui è un poco scemo». Allora il fittavolo è insorto. «Mi son scemo?», e così si è condannato. Si chiamava Salvini, adesso sono morti tutti, poi lui era emigrato in Francia.
Comunque questi fittavoli, pur condannati, non hanno perso il lavoro, sono rimasti nella campagna. Poi in qualche maniera hanno "combinato", hanno modificato un po' l'affitto.
Quando hanno dato fuoco al Palazzo, mi sembra sia stato di pomeriggio, ma non ricordo neppure tanto bene. Perché io sono venuto in licenza, quando hanno dato fuoco, perché ero militare. E il giorno che hanno dato fuoco ero a casa, ho visto il fuoco e tutto quanto. [?]
C'era tanta gente quella volta, quando hanno dato fuoco. Tutti i fituài (i fittavoli),  chissà quanti erano, perché poi c'erano anche degli altri contadini. Si sono riuniti tutti. Era la "bandiera bianca", e poi c'era [Giuseppe] Corazzin o meglio c'erano i suoi capi che cercavano di tenere calmi i fittavoli, quando hanno visto che erano ubriachi: «guardate che avete la condanna dietro», non volevano mica loro...
L'osteria della piazza in cui i contadini si sono fermati a bere era di Targhetta, così lo chiamavamo, Bepi Targhetta. Era un'osteria, ma dentro c'era la caneva del conte, con tutte le botti, perché il vino era "a parte", a metà fra i contadini e il conte. E sulla caneva sono andati a prendere il vino, tutti che bevevano, mezzi matti. 
C'erano anche donne, tutti, tutto il paese. Anche Morgano c'era, perché c'erano tanti fittavoli anche a Morgano. Non da Levada, perché là c'era un altro conte: era sempre conte Marcello, ma non era lo stesso, erano cugini.
La mazza con cui ha rotto la macchina, il primo contadino l'ha presa sul posto, perché c'erano muratori, c'erano falegnami, c'era di tutto in azienda.
Spaccavano, buttavano giù, di tutto. E fuoco! C'era tanto fieno, poi c'erano le grisiòe che sorreggevano i bachi da seta. Le grisìoe sarebbero stiore [stuoie], ma di cannucce.
Pompieri non c'erano. Poi dicevano che sarebbe arrivata la cavalleria, ma non è venuto nessuno e quelli che avevano dato fuoco sono scappati.
C'era uno qua, che aveva due anni meno di me e adesso è morto, che era talmente ubriaco che ha confuso un torello con una mucca. «Adesso abbiamo il latte in casa», diceva, e aveva portato a casa un toretto.
Anche sul "circolo" qualcuno aveva la stalla; poche, ma ce n'erano anche là.
Sul circolo abitavano anche piccoli contadini, con poca terra, sempre fittavoli.
D. Come facevano a vivere con due-tre campi di terra?
R. Male si viveva, tutti. Era fa... no fame, non gli dico fame, ma mangiare male. Se facevamo la polenta sembrava che fossimo signori. Polenta, un mezzo uovo, tutta una musica così.

[Mi mostra la fotografia della strada che porta al palazzo e che ho pubblicato nel libro "Sile" del 1989].

Eravamo in trentatre della classe del '900, qua in comune di Badoere ... e adesso sono rimasto io solo.
Gli alberi del viale della foto sono stati tagliati durante la guerra, per conto dell'esercito: erano platani e castagnèri mati [ippocastani].
Commento ai fatti di Badoere. Erano in balla i contadini, ma c'era anche miseria. 
15:15 Dopo la guerra del '15 avrebbe dovuto vedere com'era. Perché si dice, ma ... eravamo in sei milioni sotto le armi e venuti a casa non c'era lavoro per nessuno, e tutto uno sciopero.
E chi ha dato fuoco era gente ... bisogna che lei pensi che c'era anche una ragione, perché il padrone voleva l'affitto, e c'erano i figli a casa, e i padri erano tutti in guerra. Eh, c'era anche una ragione, non stia mica credere che... Quelli che bruciavano avevano fatto la guerra, e son venuti a casa...
Deve pensare che ci raccontavano tante di quelle bugie quando eravamo militari noialtri. La vittoria, la vittoria ... e dopo [...] lavorare. E invece niente ci hanno dato. Ci hanno dato "cinquanta franchi" [50 lire] che andassimo a comprarci un vestito; io sono andato a Treviso, da Vecchiato.
Durante a guerra ... promesse, promesse. Tutte bugie!
 
Durante la guerra qua a Badoere c'erano dappertutto soldati. Sul "circolo" [le case della piazza] c'era la cavalleria e c'erano tanti granai di sopra; i soldati erano qua in riposo.
Quella guerra là era una guerra d'infamia, sa! Perché deve pensare che andavano a prendere un monte, ammazzavano 7-8-10 mila soldati e dicevano «finiamo la guerra!» e invece [...]
Anche se non li si ammazzava, la guerra era persa lo stesso per i tedeschi, perché sono morti per la fame.
Quando sono venuti basso, loro, quando erano sul Piave, si sono fermati sul Piave perché si sono ubriacati. Sono andati dai contadini, i contadini avevano tutto il raccolto, loro hanno mangiato e bevuto. Erano pieni di fame e intanto si sono ubriacati e non sono andati più avanti.
[L'esercito italiano, durante la ritirata di Caporetto] ... avevano solo gli ufficiali che gridavano: «Via italiani, scappate italiani, che sono qua i tedeschi che vi ammazzano», per permettere ai contadini di venir giù con le bestie. Poi hanno fatto saltare il ponte.
Io ero a lavorare sulla strada, dal fiume Zero e fino al confine con Levada, che sarà neanche un chilometro, a preparare quando passavano i camion ... e ci hanno "requisito" tutti quanti, tutta la squadra, con l'ordine di andar fare un campo di aviazione a Caselle di Asolo. Basso là stavano facendo una campo d'aviazione.
Andiamo là, ostia, ci hanno lasciato là una notte e poi ci dicono che dobbiamo andare a Bassano. Andiamo a Bassano, ci caricano sul carro, su un camion, sempre i soldati... 
Andiamo a Bassano, abbiamo dormito una notte. Oh Dio, qua dove ci porteranno, perché avevamo visto [?] ... e ci dicono: «Andiamo a Primolano». Sa dov'è Primolano? Ci portano a Primolano.
Io le montagne non le avevo mai viste, quasi, perché ... e non erano montagne alte, ma per noialtri che non le avevamo mai viste erano alte. E quando siamo a Primolano non ci portano su a Enego! Sa dov'è Enego? Che ci sono sette tornanti che andavano su, i camion. Quando siamo su a Enego ci dicono che dobbiamo andare su a [?], proprio in mezzo alle montagne. Ci caricano e vediamo che le strade sono tutte coperte. Ma c'era uno che era più anziano che ci dice: «Ragazzi, guardate che qua, sono coperte perché tirano col cannone». Come era vero.
Ostia, andiamo avanti, su un bel posto anche. E diciamo guarda che belle che sono qua le montagne. Ci mettono in una baracca a dormire, a far sempre gli stradini, anche là. Andiamo là, e venivano giù i soldati dal fronte che non era mica tanto distante [...] perché c'era la cima 11 e la cima 12, non so se abbia mai sentito nominare quelle montagne là.
C'erano i tedeschi là, e i nostri erano più basso. Allora i tedeschi che tiravano, i tirava sul forte Issa [tiravano sul forte Lisser] che è qua. 

Due immagini del forte Lisser (Agosto 1999)




Ci sarebbe anche il monte Issa, ma c'era un forte: tiravano là, e a noi passavano tutte sopra, le granate. E gli italiani tiravano dal forte Issa ai tedeschi di là e ci passavano tutte di sopra vsh, vsh, vsh
Ma non ci venivano no addosso a noi. E siamo rimasti là due tre mesi, mi sembra, [...] fino a che per poco non ci prendono prigionieri in mezzo alla ritirata. E via con le zappe sulle spalle [...] e siamo scappati a casa. Siamo venuti a Enego e Primolano dove c'era la ferrovia. Allora c'erano ancora i treni che correvano, e tutti siamo scappati! Perché c'erano i tedeschi. Non ci hanno mica preso, ci hanno avvertito subito: «sono qua i tedeschi».
Con i soldi che prendevo, tre lire al giorno, ho portato a casa 1000 lire. Abbiamo iniziato la casa  - non comprato la casa, che la casa era nostra - ma comprato una bestia, robe così...

Dopo io ho sempre lavorato, dopo. Io non ho perso una giornata di lavoro. Ho avuto anche tante operazioni, ma sono sempre stato bene. Il Signore mi ha sempre aiutato. Nel 1930 ho avuto l'appendicite. Mi hanno operato a Montebelluna e sono stato dentro 12 giorni. Nel 1965/66 ho avuto un'ernia, ma un'ernia terribile. Sono andato operarmi, sono stato meglio otto dieci giorni e poi è tornata ancora. Dopo un anno me n'è venuta un'altra di terribile, una più grande, da un'altra parte. Mi ho operato e sono stato meglio. Dopo mi sono venute le cataratte agli occhi e non ci vedevo più niente, e mi hanno operato. E tre anni fa mi hanno operato la prostata, ma adesso sto bene.

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