mercoledì 12 maggio 2010

Antonia Coran, Lovadina (TV)

Nata nel 1910.

Nastro 1994/3 - Lato A                      21 aprile 1994
    
Sono figlia di Giuseppe Coran, originario dal Friuli. 
Mio padre da giovane faceva il servitore in una famiglia di contadini di Lovadina dove ormai era diventato di casa e dove ha vissuto anche un po' di tempo appena sposato, tanto che i figli del padrone lo chiamavano "zio Bepi" in segno di rispetto. Ma da grande mio papà è andato tanto a lavorare all'estero.
Era servitore nella famiglia dei Pol. Ci sono in vita ancora i figli, di quella famiglia: Pol Giuseppe, di Lovadina, detto Bepi Brosa... I Pol a Lovadina sono tutti con soprannome Brosa, oppure Brosét, Brosàt.
Mio padre si è sposato con una ragazza di Lovadina, Teresina Doro, quando era già vedovo ed aveva un figlio di circa cinque anni che si chiamava Mario (classe 1899, che ha partecipato alla guerra ed è stato ferito a una mano, rimanendo mutilato. Prendeva una pensione).
Dal nuovo matrimonio è nato per primo Piero, nel  1907.
Nel frattempo mio papà aveva trovato lavoro in stabiimento a Spresian. Ma poi è andato tanto all'estero, Francia, Germania e anche in Italia; sempre come operaio. Più precisamente molto spesso andava a lavorare nei boschi a tagliare legna. Prendevano [in appalto] dei lotti di bosco e mia madre lo pregava sempre: «Quando fai il passaporto, fallo per tutta la famiglia, non lasciarmi qua a casa con i figli». Gli uomini del paese, ma anche di Spresiano, organizzavano una squadra e andavano in un posto in cui sapevano che avrebbero trovato questo lavoro; forse c'era o c'era stato qualcuno, all'inizio, che li aveva avvertiti e informati. Qualcuno di questi emigranti è poi rimasto in Francia.
Mio padre andava via in Francia negli anni '20, quando io avevo 13 anni. Mia madre preparava la roba per il viaggio e gliela metteva nei sacchi. Mio padre è andato anche a lavorare un anno in Sardegna, ma non ricorda più a far cosa.
Aveva il soprannome di Bepi Ciri, soprannome che hanno preso tutti in famiglia, tranne mia madre, che è rimasta sempre Teresina Doro.
Abitavamo in paese a Lovadina, dopo la piazza, in Borgo Mas. La nostra casa è stata bombardata durante la guerra e al posto della casa ci hanno dato una baracca. Dopo siamo andati ad abitare nella casa in cui era nata la mamma.
Mi ricordo di quando siamo scappati. Pioveva sempre; tutti erano in subbuglio e il palazzo in cui abitavamo, el palazo de Scabèl [Scabello] era stato bombardato.
Erano diversi giorni che si era come in allarme per scampar via. Tanti erano già scappati. Mia mamma aveva appena comprato un porzeét picinin [porcellino piccolo] da mio santolo - suo compare - da cui lo comprava ogni anno. Quella volta erano due tre giorni che l'aveva comprato quando hanno deciso di andare via. Ormai mio padre e un fratello di mia madre dicevano ndémo via, via, via! anche perché mia zia aveva tre figli piccoli; così siamo andati via.
Ci siamo fermati a Catena, in una famiglia di contadini dove siamo rimasti pochi giorni. Poi mia mamma è ritornata a casa con questo suo fratello a prendere della roba e dopo abbiamo cominciato l'avventura di partire. 
Il porcellino era stato nel frattempo riportato indietro al santolo, che era un Casagrande e abitava "in campagna" (sempre a Lovadina) in località i Castèi, sulla strada che va a Treviso. Riportato indietro il porcellino, ma il santolo non lo voleva. Ma cosa doveva fare mia madre con questo porcellino? Alla fine glielo ha lasciato là lo stesso, anche senza ricevere soldi.
Siamo andati via da Lovadina con la mussa, de me barba [zio] Giovanni, fino a Carità. Da Carità siamo arrivati alla stazione di Treviso.
Avevamo portato via un po' di fagotti e un po' da mangiare, anche della farina. Avevamo ammazzato delle galline che poi fra l'altro i soldati ce le hanno anche rubate. Ce ne siamo accorti quando da Catena siamo tornati indietro a riprenderci della roba, anche da vestire, e riportare il maialino. Anche in casa erano già andati a rubare, ma non i militari, ma gente del paese che era passata a rubare...
Siamo rimasti a Catena di Villorba in una casa di contadini per qualche giorno. Si dormiva nella stalla o nel fienile. In quella casa eravamo solo noi; nelle case vicine c'erano anche altri del paese o profughi provenienti da altre zone. Ci hanno trattato bene, mi ricordo.
In paese a Lovadina sono rimaste abbastanza persone ... qualcuno perché voleva rubare, o perché non voleva andare via. Non so se il parroco sia scappato.
Una sorella di mia madre abitava a Fioccardo, vicino a Torino e siccome questa zia era morta, mia madre diceva: «Se dobbiamo andare in un'altra città, facciamo in modo di arrivare a Torino dove ci sono i nipoti». Tanto ha fatto e brigato che è riuscita ad andare a Torino. Ed è stata fortunata, perché sono stati in pochissimi quelli che sono riusciti ad andare a Torino.
Da Catena alla stazione di Treviso siamo andati con la mussa del barba, che poi ha dovuto ritornare indietro perché sia lui che mio papà erano militarizzati. Mio papà era con le segherie di Spresiano ed è stato costretto ad andare a Bergamo. [...]
Col treno siamo arrivati dopo molto tempo a Milano, e da Milano volevano mandarci in Bassa Italia. Era un treno merci, ed era strapieno di profughi. 
Quando eravamo alla stazione di Milano ... nei corridoi, come le bestie, con questi fagotti! Eravamo arrivati a Milano con tante peripezie, fermi in mezzo alla campagna nei rettilinei, scesi e risaliti nei vari treni. Siamo arrivati a Milano dopo vari giorni, mangiando qualcosa che ci eravamo portati via e qualcosa che ci davano, specie a noi che eravamo bambini.
A Milano ci hanno sistemati in una specie di capannone, così lo ricordo, e là c'era anche mio nonno (il papà di mia mamma) che era arrivato con un altro treno.
A Milano mia zia aveva una bambina piccola che stava poco bene ... forse volevano mandarci a Bergamo... ma mia mamma aveva il pallino di andare a Torino. E siccome la bambina stava poco bene mia mamma ha chiesto al custode di poter andar fuori, in farmacia a prendere qualcosa per la bambina ... e da là - essendo già stata a Torino - [quindi l'episodio si riferisce a quando già si trovavano a Torino] invece che andare in farmacia ha preso il tram che già conosceva bene ed è andata a Fioccardo dai nipoti che così hanno dato la garanzia che potevano ospitarla, condizione indispensabile per restare a Torino.
A Milano, in questa specie di capannone, noi eravamo da una parte e il nonno era da un'altra, ma non lo sapevamo. Anche mio papà era là a Milano, ma in un altro posto ancora.
Una mattina mio nonno era ancora a letto, perché era vecchio e stava poco bene e ha gridato: «Osta dell'osta seré che a porta che se sente fredo» e mio papà si è detto: «Ma quello dev'essere mio suocero». Infatti era lui. Il papà ha aperto un po' di più la porta per sentire meglio da dove veniva la voce e così si sono ritrovati.
Ricordo tanta confusione, in questi treni, e il fatto che dovevamo essere mandati a Bergamo. Ma mia madre voleva andare a Torino, e infatti ci è riuscita.
Da Fioccardo (vicino a Cavoreto) mia cugina più vecchia è arrivata alla stazione di Torino a testimoniare che ci avrebbe alloggiati e così ci hanno lasciato a Torino e siamo andati a Fioccardo in casa di questi cugini che erano da soli (la ragazza e un suo fratello); il padre era militare. In qualche maniera ci hanno alloggiati e là siamo rimasti per tutto il tempo della guerra.
Noi ragazzi si andava a scuola e mia madre andava a fare qualche mastel a qualche siora [lavare la biancheria di qualche signora]. Si andava nel bosco a fare fascine di legna, a rubarle, e poi anche a venderle; quelle che non si bruciavano, si vendevano. Cosa si doveva fare?
E poi mia madre sapeva andare per gli uffici, per il sussidio, per qualche coperta, le tessere del pane. Faceva tutto lei, per noi e per mia zia. Era brava.
Osta dell'osta era l'imprecazione di mio nonno ... non diceva mica una bestemmia!
Quando mio fratello più vecchio, Mario, è stato ferito alla mano, la mamma tanto ha fatto e brigato per gli uffici che è venuto a fare la convalescenza a Torino e non è più ritornato in guerra.
Io e mio fratello Piero siamo andati a scuola a Cavoretto. Mio papà e me barba hanno trovato lavoro là vicino, dove c'era una segheria. Ma dopo la guerra hanno voluto venire a casa; a tutti i costi ritornare a Lovadina.
Mi ricordo che quando siamo ritornati a Lovadina, era primavera. C'era un sole che me inorbiva i oci e me ricordo che ghi n'era altro che sassi e tera par a strada, tuti muci de sassi, case in tera...
Mio padre era già ritornato nel frattempo, perché avevamo un po' di terra davanti a casa e là si era fatto mettere la baracca. Una volta che era pronta la baracca mia mamma ha dovuto lasciare Torino... Pianti e sospiri, ma no ghe xe sta santi!. Mia mamma sarebbe stata più volentieri a Torino, perché i figli potevano finire la scuola, il figlio mutilato avrebbe trovato un lavoro ... invece a Lovadina ha dovuto andare nello stabilimento di Spresiano a lavorare [...]
Siamo ritornati a casa in treno, un viaggio molto meglio che all'andata. È venuto a prenderci il barba con una cavalla "roana" che gliel'avevano lasciata i militari e con una carrettina. Aveva avuto la cavalla perché nella sua casa c'era il comando militare (in località Barcador). La casa non era stata colpita e fino a non molto tempo fa c'era anche lo stemma del comando che vi aveva alloggiato. La casa è ancora in piedi, ma è stata rinnovata e lo stemma è stato cancellato.
Mi ricordo che quando siamo tornati, nei primi giorni, c'erano altro che macerie e sole. Una roba impossibile. 
Mia mamma quanti pianti, pòra creatura, su sta baraca. Con la stufa che fumava come il demonio ... e tanto poveri che non sapeva come fare ad andare avanti. Perché mio papà non lavorava, non prendeva niente ... e tanta miseria. 
Quanti pianti che ha fatto per essere ritornata a Lovadina!
Prima che riprendesse il lavoro mio papà ha dovuto aspettare tanto tempo. Andava a fare qualcosa dai contadini, che magari gli davano un po' di farina, un po' di latte, un po' di formaggio. Tanta miseria. I primi anni dopo la guerra è stata tanto dura.
Poi hanno riaperto le scuole e siamo andati a scuola, io e mio fratello più piccolo. Ma i primi tempi era proprio una desolazione, un paese distrutto. Tante case erano in piedi, ma era tanto danneggiato, tanto bombardato. Anche per la chiesa all'inizio c'era una baracca. Poi hanno riparato la chiesa.
Mio papà un po' alla volta è tornato a lavorare in stabilimento. 
A Torino invece si stava benissimo: mio padre lavorava; per mio fratello mutilato mia madre aveva fatto tutte le pratiche perché venisse assunto in qualche ufficio magari come usciere o portiere.
Ma mio padre e il fratello di mia madre hanno invece voluto ritornare a casa. Parché bisognava vegnér Lovadina. Per vedere quanti sassi erano andati in terra.
Noi bambini ci trovavamo bene a Fioccardo, con la gente del posto e anche con altri profughi. Vicino a noi c'era una famiglia da Asiago e un ragazzo dei loro era grande, e andava a legna con mia madre sui boschi e poi la portavano a casa e vendevano anche qualche fascina ai siori del posto. Quelli del paese stavano bene, non erano mica come noi ... e poi mia madre andava in un'osteria che era là vicino: 'ndava a far el mastel, a lavar e botiglie. Era un'osteria alla fermata del tram.
Mia madre, negli uffici, tutto quello che ha chiesto ha ottenuto, per lei e per mia zia.

[Un altro anziano del paese Bepi Matiuzzo, delle ferramenta di Lovadina, può raccontarle meglio].

Mia madre ritornata a Lovadina si è "trovata persa". Perché suo marito a Torino aveva un lavoro...
Mia madre è morta a 72 anni e mio padre a 75 (tre anni dopo). Erano entrambi del 1874.

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