sabato 15 maggio 2010

Aurelia Bozzat, Cordovado (PN)

Nata nel 1907, sposata Infanti, abitante a Gruaro (VE)

Nastro 1998/7 - Lato A                   19 marzo 1998
All'intervista è presente l'informatore Rodolfo Bacchet

All'epoca della ritirata dei tedeschi [...] gli ho fatto la foglia. Non deve essere andato a casa quello. Gli ho dato una tànghera!
Io ho visto la ritirata degli italiani, l'anno prima.
Ho detto "Berto, Berto"  - Papais, mio amico vicino di casa, della mia stessa età - [...] «Berto, Berto [...] corri, corri, andiamo io e te, facciamo la via dei Cigolòt», che è la strada provinciale che va a Porto [gruaro], da Cordovado.
È stato così che siamo andati, noi due bambini. Vediamo passare la fanteria. C'erano di quelli che piangevano e di quelli che cantavano, ma fiàpi [senza forza]. Cantavano "Il Piave mormorò", o forse "Di qua e di là del Piave". Dovevano andare di là del Piave e cantavano quella roba là, ma non tutti.
Dopo, io ero ragazzina, e anche Berto lo era ... e non abbiamo visto i bersaglieri con due ruote in bicicletta! E io «Berto, Berto, i casca», perché era la prima volta che vedevo una bicicletta, una bicicletta verde, non alta. Il bersagliere tutto in grigio, bicicletta grigia e poi aveva il cappello. Tutta una piuma e cantava la sua canzone dei bersaglieri ... e poi ho detto al mio amico Berto che si sentiva cantare lavvìa dove sono le scuole, nella piazza di Cordovado. Cantano ancora, dicevo, ma devono essere di un'altra squadra, non la fanteria, perché quelli cantavano più piano. Così aspettiamo, aspettiamo e infatti ... non vediamo gli alpini! Uno, che deve essere stato il capo, una bella piuma bianca, ma a piedi, a piedi come disertori. Piuma bianca e dopo vediamo che cantavano ... con la piuma nera.
Ho detto al mio amico: «Guarda, Berto, quando sono passati questi qui, andiamo a casa». Dalle 8 fino alle 11 di mattina, due ragazzini, da soli, perché c'era il coprifuoco e non c'era anima viva, siamo andati ... ma nessuno ci ha mandati via, perché nessuno veniva fuori, e così siamo tornati a casa. Perché dopo che sono passati gli alpini non c'era più niente, ci sarà stata un'altra squadra più indietro, non lo so.
Siamo andati a casa e sono andata a dire a mia madre: «Mamma, sono andata a vedere che c'è la ritirata degli italiani, ma non ho ancora visto mio papà, sai ... né io né Berto. Non c'è il papà!»
«No, tuo papà è su a Pertegada, a Latisana», ha detto la mamma.
Poi siamo andati a casa di questo Berto, e [...] ho detto a sua mamma: 
«Ma il papà non l'ho visto!» 
«No - mi ha risposto - lui è a Pertegada» 
«E dov'è questa Pertegada?» 
«E' dalle parti di Latisana ... fa un'altra strada tuo papà».
Allora vado via, torno a casa, e alla mattina ci troviamo invasi, perché gli italiani avevano fatto l'armistizio, la ritirata e l'armistizio, coprifuoco con l'armistizio.
Dopo invece ci troviamo invasi con i tedeschi, "fissi" come un fulmine [tantissimi].
Là davanti a me c'era via Ferrarelli, c'è il Duomo e dopo c'è via Ferrarelli. Vado a prendere l'acqua e trovo questo Giovanni Bot che mi dice: «Guarda che c'è coprifuoco anche questa notte, perché arrivano i tedeschi».
Davanti alla casa mia c'era una casa grande, e là hanno fatto cucina; c'era un reggimento di tedeschi.

[...] Sono andata a carità al mulino di Brussolo, a Stalis, il primo mulino in cui sono andata a chiedere l'elemosina ["a carità"]. Io ero una ragazzina e viene fuori un barbone così, barba bianca, il mulinaio. I giovani erano via, un vecchio ... e là trovo un'altra ragazza che aveva un anno più di me che andava anche lei a carità. E el mulinèr ci ha detto: «Guardate ragazze, vi insegno io un posto, andate per questa strada dritta qui, andate da Rumiero a Bagnarola, dove vi riempiono il sacchetto»
Chiedevo un po' di farina per fare degli zuf (in furlano) o pastariei (in veneto). Si tratta di farina diluita nell'acqua (con sale), tenera, tenera, tenera come il brodo e dopo si metteva nel piatto e sopra vi si versava del latte che faceva una pellicina, due cucchiai di latte ciascuno. [...] Gli zuf erano per marenda al mattino.
Una volta, verso le 11 mia mamma fa la polenta per mangiare a mezzogiorno per noi quattro, tre bambine e lei. Quando la polenta è pronta sentiamo battere la porta. Là c'era un vecchio che aveva 90 anni e io credevo che domandasse qualcosa e aprivo sempre la porta, ma mia madre mi ha detto: 
«No, guarda che devono essere i tedeschi, no!»
«Mamma, può essere Luigi» [il vicino di 90 anni]. 
Invece, quando apro, entra questo tedesco che «ciàpa, tira el gabàn, butame la polenta e portala via». El gaban sarebbe la mantellina, il cappotto che aveva questo soldato. Allora io sono andata al comando, che era come andare da qua ai cancelli. Sono andata là: «Io vorrei il capo, el ser, el caporion». 
Esce uno, chi sa chi sarà stato, e gli ho detto: «Guardi che io ho fatto la polenta ... dovevo farla per mezzogiorno e mangiarla noi quattro, siamo tre sorelle e la mamma, dobbiamo mangiare anche noi ... e quello mi ha portato via tutta la polenta. Polenta che avevo trovato io andando a carità». E questo mi fa: «Vedrà che gli costa cara». [...] 

Nastro 1998/7 - Lato B

Quando sono le due, tornano a battere la porta. Mia mamma mi dice: «Non sta aprire, che c'è il tedesco». Ma io [...] torno ad aprire. Io non avevo paura, e gli ho detto: «Qui non abbiamo mica più polenta, perché noi cosa dobbiamo mangiare?» 
Che vergogna, un tedesco morto da fame! Lazzarone! ... Non guarda sotto la tavola? ... Scosta una sedia (tira na carèga) e ci porta via el porsèl, un porcellino di circa 40 kg che avevamo sotto la tavola.
E mi ciàpa su e via al sìr [e io, prendo su e vado al comando]. Là ci sono sempre dei soldati, ma io dico: «Voglio el sir», e si presenta lo stesso della mattina [...]
«Perché qua siete tutti ladri, voi tedeschi!», gli dico. 
«No, io sono il sir» 
«Ma guardi che quello che stamattina mi ha portato via la polenta adesso mi ha portato via il maiale» ...
Poi io, curiosa, sono andata dietro al casale, e non c'era il mio maiale? Messo allo spiedo, là, bello. 
Ho chiamato il capo: 
«Sir, venga qua» 
«È il mio maiale, quello» 
«Ah, ha fatto anche questo» 
«Eh, voi siete d'accordo, vigliacchi! Siete una razza morta da fame!»
Non basta. Alla mattina del giorno dopo, verso le nove mi tornano a battere, e io non apro; via di corsa in camera. Il tedesco entra e con la sciabola faceva tic e toc sul pagliericcio. Su un angolo ha sentito duro e allora sbrèga, sbrèga con la sciabola ed è venuta fuori la macchina da cucire... 
[Era sempre lo stesso soldato, quello della polenta, che evidentemente si aproffittava della presenza di una donna, sola con tre bambine; quindi probabilmente non aveva la sciabola, ma la baionetta. Difficile che fosse un ufficiale ... ma forse era un cavalleggero. Vedi più avanti]
Allora io torno ancora da questo sir.
«Guardi che quello là mi ha portato via la macchina da cucire e un lenzuolo. Quello là deve fare la dote alla sua fidanzata, ma non ritorna mica in Germania - gli ho detto - con la calma io lo trovo».
«Che nome hai?» 
«Aurelia»
«Orè (non era capace di pronunciare Aurelia) avresti coraggio di ammazzarlo?» .
Mi ha visto piccolina ... ma avevo una lingua! [...]

Così passa un anno. E un giorno Giovanni Bot [un vecchio di Cordovado, orbo, che trasportava ghiaia col cavallo e per quello evidentemente sapeva sempre tutto... ] mi avvisa che la notte ci sarà il coprifuoco perché inizia la ritirata dei tedeschi. Infatti, mi dice Giovanni: 
«Aurelia, domani vanno via e stanotte c'è il coprifuoco. Non andar fuori di casa altrimenti ti portano via.»
«Portano via dove?, gli ho detto, devo ammazzarne uno, io. Deve passare per le mie mani.»
Quando sono le otto vado a vedere fino alla stalla grande dei Segalotto, sulla strada che porta a San Vito [al Tagliamento]. L'anno prima erano gli Italiani che andavano verso Porto(gruaro) e adesso erano i tedeschi che se ne andavano verso San Vito in ritirata.
In fondo alla strada c'era la stalla della famiglia Segalotto. Là era ferma la cavalleria, con tantissimi cavalli ["fissi così"]. Io sono andata in questa stalla, ho passato uno a uno i soldati [prigionieri austriaci] e dentro di me dicevo: «Qua deve saltar fuori», ma lui non c'era.
Finalmente lo vedo venir fuori dalla stalla. Eh, adesso ti ho trovato, gli ho gridato ... e quando ho gridato così lui è venuto avanti mogio mogio e si è messo lungo il muro.
Mi avvicino e vedo che c'è un fucile con una baionetta in canna appoggiato al muro. Piano piano, perché ero lontana cinque sei metri, mi sono avvicinata, ho preso il fucile dalla parte della canna e della baionetta e quando gli sono stata vicino gli ho dato una tànghera con il calcio del fucile sulla testa, così forte che l'orecchia si è staccata quasi del tutto rimanendo appesa solo con la pelle. Con il calcio del fucile, perché se gli avessi dato con la baionetta gli avrei tagliato mezza testa.
Sangue come quando si ammazza un maiale, e urlare... 
«Eh, non muori, no - gli ho detto - non muori, no». 
L'ho accompagnato un po'... e continuava a venir fuori sangue ... allora i tedeschi hanno fatto una portantina e l'hanno portato via in portantina.
Il fatto è successo quando ormai la guerra era finita. I lancieri italiani accompagnavano verso San Vito i tedeschi prigionieri. 
Ero sicura che era lui, ero sicura, come fosse stato mio fratello. [...]

[Aurelia parla un dialetto strettissimo del luogo - terra di confine tra Veneto e Friuli - che al momento dell'intervista mi pareva di capire molto bene e invece al momento della trascrizione mi accorgo che non è così; una difficoltà incredibile a decifrare quanto dice! 24.XI.1999]

Dopo vado ad aprire i ganci dello zaino e trovo la macchina da cucire. 
Mia mamma mi grida «guarda che ci saranno bombe», «guarda che ti ammazzi».
E io «è la macchina, è la macchina!» le gridavo
Prendi, apri lo zaino, prendi il lenzuolo, la macchina è là. Il lenzuolo di canapa filato da mia mamma [...] e sotto c'era tanta altra roba di biancheria. Ma della macchina non potevo sbagliarmi. Prendi su e porta a casa.
Poi sono tornata nuovamente nella stalla dove prima c'erano i tedeschi e vedo una bella "crovatina" piccola [una cavalla di razza croata], poco più di un bel muss. Io le ho fatto, toccandola sulla coda: «Oh, morettina, morettina, crovatina ... ma che bèla, ma che bèla». Lei si è spostata, prendile la cavezza, sposta un altro cavallo grande che le era vicino «i cavalli erano fissi così» [addossati l'uno all'altro] e portala a casa. Quella sì che gliel'ho presa io, ai tedeschi! E quando sono arrivata a casa ho detto a mia mamma: 
«Mamma, guarda che bella cavalla che ho rubato ai tedeschi!» 
«Ma dai, cosa devi farne alla cavalla? Quando viene a casa tuo padre... »  «Compriamo il carretto e andiamo sul campo con la cavalla. Dai, dai, mamma!»
Poi l'ho messa dentro nel recinto [stavolo] delle galline, dove c'era un punèr [pollaio] grande così e io andavo nel mio campo a prenderle l'erba; andavo dentro, la pulivo, le portavo da bere ... ma buona. «Crovatina, ma guarda che bella che sei!»
Tre giorni è stata là dentro. Poi alla sera sono andata a far erba per dargliela alla mattina dopo come merenda, e non la trovo più. E io a piangere, subito a dirlo a mia mamma: «Mi hanno portato via la mia morettina, la mia morettina!» 
Vado a dirlo anche a una vicina di nome Pasqua, che aveva il marito che non era andato in guerra ed era rimasto a casa imboscato: «Mi hanno portato via la mia morettina, la mia morettina!» 
In quello la cavalla ha fatto Eh-i, Eh-i, da dentro il pollaio di Pasqua. Era stato suo marito, l'imboscato, a portarmela via. E la cavalla che mi aveva sentito piangere aveva risposto. 
Allora io mi sono fatta aprire il pollaio dalla padrona di casa [...] e vi trovo la cavallina: «Morettina, i te ga portà via!» ... e lei, invece di mangiare ... leccarmi, baciarmi; questa cavalla!
La porto a casa mia e dopo due giorni me la rubano ancora, sempre lui, il marito di Pasqua Petrass, l'imboscato Giovanni Duz [...]. Io ero andato a prendermela in mezzo ai tedeschi, e lui veniva a rubarmela in casa.
Sempre quella volta che ho ritrovato il tedesco che mi aveva rubato la macchina da cucire, nel suo zaino c'erano anche delle bombe. Io piano piano ho messo le bombe a mano per terra, per potermi prendere la macchina da cucire. Era di marca Singer [lo dice con decisione e orgoglio!], di quelle a mano. Vi lavorava mia mamma, per le necessità della famiglia.
Il lenzuolo era fatto con la canapa nostra, coltivata in casa e sfibrata con una specie di matterello finché diventava morbida. E lavorare, sempre lavorare...

Mi mostra un bossolo da 75 mm. «Me l'ha dato uno di Villanova di Portogruaro».
Vi è scritto «Infanti ricordo». Porta la data 1917.

Mi ricordo che nella ritirata [di Caporetto], quando sono passati gli italiani per Cordovado, entravano nelle cantine e mollavano il vino dalle botti «perché altrimenti i tedeschi si ubriacavano». A casa nostra no, perché eravamo sotani [braccianti], con un campo di terra appena, per la polenta e i fagioli. Poveri. Eravamo poveri. E in famiglia eravamo tre sorelle, papà e mamma, con la macchina da cucire...
Mia sorella più piccola è morta di spagnola, e non hanno neanche suonato le campane, perché le avevano rubate. Ma di spagnola in paese a Cordovado ne sono morti due - tre per casa.
Il Sir, con cui parlavo e denunciavo il furto, diceva di essere triestino: «io sono triestino». Ma dirglielo o non dirglielo, ero lo stesso, perché tanto portavano via tutto.
Il maialino, quando l'hanno portato via e pesava 40 kg sarà stato in maggio-giugno. Il maialino taceva, era buono. Gli si dava da mangiare a lui e a noi. Era sotto la tavola.
Io gli ho detto al Sir: «Se è un triestino, dovrebbe intimorirli i suoi soldati!». Invece lui faceva uguale.
Il soldato che mi aveva rubato la macchina, quando poi l'ho ritrovato ... mi credéa de copàrlo [la mia intenzione era di ammazzarlo].
Solo io mi sono ribellata, in paese. Nessuno che abbia protestato, avevano tutti paura.
Finita la guerra è tornato mio papà, senza baffi.

***

Interviene il marito di Aurelia, Infanti Giuseppe, pure lui classe 1907 [però cinque mesi più giovane della moglie ... vedi più avanti, non trascritto - dopo il racconto della guerra - le avventure al momento di doversi sposare, perché la moglie non voleva sposare uno più giovane di lei]. 
Mi racconta della sua esperienza nella Seconda guerra mondiale.


Sono stato richiamato nel 1943 e stavo per essere inviato in Sardegna, ma il mio capitano non ha voluto e mi ha mandato a Bari e da là a Foggia. Il 15 di agosto avevamo requisito 200 muli. Scappati tutti in seguito a un bombardamento. Ha dovuto intervenire un reggimento di soldati per ritrovarli e poi con i muli sono andato a Gorizia a portarli agli alpini, e vi arrivo al 5 settembre. A Gorizia parlo col capostazione che mi dice che domattina la tradotta parte per Treviso. Vado a Treviso e da là partiamo per Bressanone, dove restiamo fermi una giornata. Dopo, io potevo venire a casa, invece mi hanno portato a Fortezza. Poi sono tornato indietro, ma all'una del mattino i tedeschi mi hanno fatto prigioniero. Da là a Limburgo, campo di concentramento per otto giorni. Dopo sono andato a Mannheim dove ho fatto 9 mesi, a lavorare ... e là c'erano anche dei prigionieri francesi.
Dopo 9 mesi sono stato a Strasburgo, in Francia, a lavorare in una cartiera. Io avevo una mia parente da Bagnarola che era là in Francia, a 17 km di distanza, e ci ho messo un mucchio di tempo per rintracciarla, tanto che i miei compagni di prigionia ormai dicevano i ga copà el vecio.
Dopo arriva l'armistizio e, vestito da tedesco (non avevo altro), vado dai miei parenti. Arrivano gli americani ... e loro a dirgli che ero un italiano, e gli americani: no! Mi caricano in una gip e sono rimasto quattro ore rinchiuso in un gabinetto. Dopo le quattro ore mi hanno chiamato. È venuto un capitano di origine italiana, da San Donà, e allora mi hanno lasciato libero.
Sono andato alla Croce Rossa a Parigi e da là mi hanno portato a Como, dove sono rimasto 8 giorni. Poi sono venuto a casa.

Abbiamo avuto due figli, uno nel 1932 e uno nel 1938 ... e lavorare come una mussa, dice Aurelia. Due anni ho mandato avanti io la baracca, quando lui era in guerra. Sono venuti qua i partigiani e mi hanno battuto [trebbiato] il frumento. [...] 

Nastro 1998/8 - Lato A

Poco dopo sono arrivati i carabinieri e mi convocano in caserma, accusandomi di aver nascosto il frumento per far mercato nero. [...]

Racconta le sue peripezie in caserma, riguardo a questo frumento. Durante l'ultimo periodo della seconda guerra mondiale - Nastro da trascrivere fino al minuto 6:22 ... poi
D. Volevo chiederle della 1GM - C'erano altre persone che venivano da fuori, dal Piave... a chiedere la carità nei vostri paesi (loro dicevano "Alle Basse")?
R. Non ho visto nessun'anima viva...
7:48 FINE









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