venerdì 7 maggio 2010

Intervista a Mario Zanutto

Nato l'8 maggio 1907 a San Pietro al Natisone (UD).

Nastro 1996/26 - Lato A                         10 ottobre 1996

Eravamo fino a Santa Maria Capua Vetere, provincia di Caserta. Siamo partiti da qua a piedi, siamo andati per Vernasso e giù, e giù, e giù. A Udine abbiamo preso il treno.
D. Chi vi ha detto di partire?
R. Mio papà era soldato. A casa eravamo io, mia mamma e due sorelle. Per il paese gridavano: «Sgombrate, pericolo!» Me lo ricordo bene ... e via, di notte, siamo andati in quei paesi là, a Vernasso, perché là c'erano dei parenti. Loro avevano il cavallo con il carro e ci hanno caricati e siamo andati giù fino a Udine; però la notte stessa siamo andati fino a Moimacco, perché avevano dei parenti a Moimacco e là abbiamo aspettato quasi tutto il giorno.
D. Il primo parente da cui siete andati, come si chiamava?
R. Luigi ... era una famiglia ... erano parenti di quelli con cui siamo andati assieme, perché siamo partiti con uno zio e la sua famiglia, lo zio si chiamava Venuti Pietro che sarebbe stato il fratello di mia mamma. Erano parenti della moglie di Venuti e non so come si chiamassero. Là di Mechina, la chiamavamo, come soprannome di famiglia.
Quando siamo partiti era già cominciata la scuola. Ero già in quarta, poi da profugo mi hanno retrocesso, ci sbattevano come...
Siamo rimasti là, quella sera, a Moimacco. La mattina dopo abbiamo preso per Udine con carro e cavallo. C'erano i bambini con noi e i due vecchi erano rimasti a casa. Siamo andati fino a Udine alla stazione, da là...
D. Com'era il traffico per la strada?
R. Il traffico? Eh, altro che traffico! I soldati che si ritiravano, era "la ritirata di Caporetto"! Noi siamo andati giù con questo carro giù fino a Udine. A Udine abbiamo trovato dei paesani e c'era un treno pronto per partire che ha caricato su tutti i profughi. 
E questi col carro han detto, ospo! ma cosa veniamo a fare ... lasciamo il cavallo qua, e il carro? Non sono scesi dal carro e hanno proseguito fino giù, giù ... non Pasian di Prato, si chiamava Pasian Schiavonesco quel paese, quella volta. E noi siamo andati in treno e siamo andati via, via giù ... e loro sono andati avanti col cavallo e difatti quando sono arrivati laggiù a Pasian hanno dovuto lasciare il carro e tutto quanto, e sono andati in treno anche loro. Così noi siamo andati con un treno e loro con un altro e non ci siamo più visti fino a che non è venuta fuori la ... come si dice, l'Ufficio informazioni per trovarsi, per sapere dove è questo e dove è quello. Tutte le città e tutte le province l'avevano.
Loro sono andati fino a Boscoreale [...] Boscoreale è sotto il Vesuvio.
Noi siamo andati fino a Santa Maria Capua Vetere, provincia di Caserta, là siamo rimasti e là era già pronto paglia, appartamenti, erano pronti per i profughi. Era organizzato! 
La Gigia con il bambino sono andati giù fino a Boscoreale vicino al Vesuvio e là li hanno fatti scendere perché così, lasciavano questa gente, questi profughi, un po' qua, un po' più giù.
Noi a S. Maria Capua Vetere eravamo in casa Recca. 
Due cognomi aveva quella casa là: casina Pimpinella e anche casa Recca. Ma i padroni non abitavano là. [Il padrone] aveva un cane, e con un asinello veniva giù. Portava da mangiare a questo cane e tornava su; aveva forse qualche cantina, non so, perché era una casa grande. Io avevo sempre paura dei cani. 
Dell'asino non avevo paura, sa perché? Perché questo padrone veniva con un carrettino a due ruote, un calesse e attaccato aveva l'asinello. Legava il suo asinello dietro la finestra e andava a fare i suoi lavori ... e noi profughi - che erano di Remanzacco, di tanti paesi, anche qua di San Pietro al Natisone - e noi bambini, avevo dieci anni, si prendeva l'asinello e si andava a farsi un giro. E lui mai se n'è accorto ... ma non so come non se ne sia accorto! E si andava quasi in paese perché era un po' fuori del paese, l'indirizzo era «14 Ponti, Santa Maria Capua Vetere». Erano quattordici archi di questo ponte, e allora lo chiamavano così. 
Era come da qua ad andare sul ponte di Vernasso. Perché poi era grande Santa Maria Capua Vetere...
Su quel calesse si andava in due tre ... con quelli grandi, che erano i cugini Monreale, qua del paese.
Ma poi non è finita, perché poi noi siamo venuti su a Pesaro, dopo. 
Perché i nostri zii, quelli con cui siamo partiti assieme erano arrivati per un'altra linea. Noi siamo arrivati per Firenze e giù, giù. Loro invece sono andati per l'Adriatica e li hanno fermati a Pesaro ... che dopo siamo andati anche noi a Pesaro, dietro richiesta di ricongiungimento, e vi siamo andati nella primavera tarda del 1918.
Eh, siamo andati a fare i bagni a Pesaro, in città. Là siamo stati in due case: prima in una casa che era storica, in centro, in via Zanucchi e dopo siamo andati in via Roma, proprio di fronte alla chiesa di San Francesco. 
Un parente ha le fotografie di quel posto e poi una volta quando gli alpini erano a Bologna siamo andati giù a Pesaro io e un mio cugino con cui eravamo stati insieme profughi. Oh, come ero contento, vedere di nuovo Pesaro! Era il 1971...
Ho riconosciuto i posti, altroché. La gente non c'era più ... uno ne abbiamo trovato, son tutti morti; una famiglia abbiamo trovato ... un carbonaio, vendeva carbone. Abbiamo chiesto della famiglia ed era ancora viva la sorella, gli altri erano morti tutti...
A Pesaro non siamo stati bene. Mia madre era ammalata, è andata in ospedale.
Difatti quando siamo venuti io e mio cugino a vedere Pesaro, dopo tanti anni... siamo andati davanti all'ospedale, abbiamo guardato nella finestra e mi sono messo a piangere come quella volta che ero piccolo e che piangevo. In ospedale hanno fatto un'operazione a mia mamma, che poi è guarita ed è morta molto tempo dopo. L'andavamo a trovare e piangevo. E quel giorno [del 1971] che siamo stati a vedere questo benedetto Pesaro, mi sono inginocchiato e ho cominciato a piangere, a pensare la mia mamma com'era... Poi siamo tornati su a Bologna, con gli alpini.

Interviene il figlio di M. Zanutto. S. Pietro degli Slavi? Sì, adesso mettono quelle tabelle, abbiamo quel dialetto e se andiamo di là del confine qualcosa ci si capisce. Non è, non è come il loro; il nostro slavo è bastardo. C'è dentro l'italiano, c'è dentro il friulano, ormai...

Al ritorno ... mio padre era soldato sul Piave, poi era giù in Romagna e quando si è congedato è venuto là, dove eravamo profughi.
Quando siamo scappati, mia mamma aveva un sacco davanti e un sacco di dietro, legati assieme, con dentro un po' di roba. E andava quella povera donna con tre bambini, con due sacchi sulla spalla e una bambina piccola che teneva per mano. Io avevo qualche cosa, non so cosa, un fagotto.
Abbiamo dovuto scappare. Noi neanche abbiamo saputo che si va a Vernasso, là, che c'erano i parenti. Chi pensava quella roba là. 
È venuto giù tutto all'improvviso ... un giorno prima dicevano, sarà la ritirata. Poi hanno detto, no, no, no, non c'è pericolo perché ormai li hanno respinti e tutte queste cose qua. Io ascoltavo. Avevo dieci anni, ma mi piaceva a me sentire  benché faceva paura. Mi interessavo molto di sentire, cosa dicevano della guerra. Avevo paura e tremavo e volevo sapere!
Si sentivano dire queste cose dai militari. C'erano militari sempre, in tutte le case. Questa strada qua, che porta a Caporetto, era sempre un via vai, avanti e indietro. C'era poi ... han fatto il trenino, che passava di là, fatto proprio per portare munizioni al fronte ... e dopo son tornati giù, han dovuto fare la ritirata ... Quel trenino era utilizzato solo per i militari e le munizioni, non per scappare durante la ritirata.
C'era incertezza, se andare o restare, e tanti sono restati e si sono trovati non bene, di sicuro. Male; mio zio neanche non ricordo cosa dicevano. 
A dire la verità sono rimasti in pochi. Il parroco di San Pietro non è venuto con noi, quello di Vernasso è andato profugo anche lui. Quello che era qua ... eran due vecchi, il parroco e il cappellano. Il parroco è morto mi pare in tempo di guerra (è rimasto qua) e il cappellano...
A deciderci di partire è stato chi avvertiva: «Si salvi chi può» ... la ritirata ... si doveva scappare. Chi non voleva scappare era padrone di rimanere.
Quando hanno detto andiamo giù col carro... Oh, bene, han detto mio zio e mia zia, perché sua moglie era di Vernasso...  Suo cognato ha attaccato il cavallo e via, col carro, di quei carri che portavano fieno, letame, tutto quanto, contadini.
Si passava però lentamente, per la strada, con il carro, perché c'era la truppa e bisognava darle il passaggio. Truppa che andava giù: era "la ritirata". In quei momenti era la ritirata.
Non ricordo se si sentisse sparare. Han detto che sparavano, ma io non mi ricordo.
A Purgessimo, adesso che me l'ha ricordato, là c'era qualche po' di resistenza.

Io nella vita ho fatto il calzolaio e adesso il figlio ha il negozio di scarpe. Io ho abitato a Clodis (S. Leonardo) per 12 anni. Il calzolaio ho imparato a farlo in paese; mio padre lavorava in cava, era bracciante. Erano cave di marna per fare cemento, ed è morto a 98 anni. Poi ha lavorato anche in un'altra cava, sempre di marna. Facevano il cemento e poi quella ferrovia là (per Caporetto) l'hanno finita loro, quelli della cava. Prima hanno fatto la ferrovia per andare a combattere e poi han fatto la ferrovia ... e quando era esaurita la cava (questa montagnetta qua, a San Pietro) e allora hanno convertito la ferrovia non più per merci ma per passeggeri. Era un trenino e si andava a Cividale.
D. Ha qualche fotografia di quando era profugo?
R. No!

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