sabato 1 maggio 2010

Intervista a Natalina Franzo


Nata il 24 dicembre 1910 a Cortellazzo (VE).

Nastro 1994/25 - Lato B                           28 giugno 1994

Eravamo tre figli, io ero la più vecchia e siamo stati trattati molto bene. 
Ero piccola, ma mi ricordo che andavo a lavorare con mia mamma, a sette anni, e ci davano da mangiare in quattro, seduti per terra. 
Non abbiamo mai patito la fame. Si era in diciassette famiglie su un palazzo della signora Pontevecchi [?] a Senigallia, trattati con i guanti bianchi, mi portava perfino il latte fresco alla mattina.
Ne ho sentito diversi che sono stati profughi [...] trattati male, buttati là come le bestie, ma noi invece siamo stati trattati bene.
Ho 84 anni e sono vent'anni che è morto mio marito, ma la guerra mondiale me la ricordo bene...
Noi abitavamo in una casa di contadini a Ca' Gamba. Ma non c'era nessun uomo in casa; avevamo a casa solo un vecchiotto che aveva el balón (ernia) e i tedeschi, bisogna dire la verità, ci hanno ammazzato tutte le bestie  ... ma è stato un colonnello tedesco [?] che ci ha detto: «Sentite figlioli, vedo che qua siete in tanti figli con un pòro vècio solo; se volete essere salvi abbandonate tutto e partite, ascoltatemi che sono un papà anch'io». È stato proprio un colonnello, loro dormivano sui nostri letti e noi si dormiva in stalla.
Ho ancora la mente buona, mi ricordo più le cose di una volta che quelle di adesso.
Ci siamo imbarcate in sette famiglie su un barcone, devo anche ringraziarli che ci hanno convinto ad andar via.
Noi abitavamo in Marina, proprio in centro alla Marina, in mezzo ai campi in una casa di contadini.
Ci hanno ammazzato tutte le bestie e noi ci toccava tacere; bestie, maiali e tutto.
Nel barcone ci siamo imbarcati a Venezia e da là siamo andati diretti fino a Senigallia.
Mia mamma diceva sempre: «A mejo vita la ò fata da profuga».
Fino a Venezia siamo andati da soli. Ci hanno lasciato una vacca e un vitello, tutti e due da fòra [normalmente attaccati al giogo dalla parte sinistra], che non capivano niente, e ci hanno lasciato un carro che ci servisse per portare quattro stracci fino a Venezia. Tutti sopra a questo carro, da Piazza Drago sempre diretti fino a Punta Sabbioni. E una volta non c'erano le strade come adesso, era una strada da campi.
Lavoravamo da fittavoli soto paron. Mettevamo patate, fagioli, granoturco, di tutto. Ho avuto sette figli.
A Cortellazzo all'epoca non c'era niente se non una casa - due, di proprietà del conte Mocenigo, e quella della finanza.
Io sono la più vecchia di otto fratelli e a nove anni non ero ancora stata iscritta a scuola. Andavo "in opera" [bracciante] nella tenuta di Marco Pasti a Torre di Fine, che è ancora al mondo e avrà ormai cento anni.
In famiglia, mio padre Franzo Domenico era via in guerra e ha fatto sette anni [?] di militare fra permanente e guerra. All'epoca eravamo in tre fratelli e mia mamma.
Dove io abito adesso era il Villaggio dei pescatori "Costanzo Ciano" dell'Ente Autonomo Tre Venezie. Però pescatori erano tutti, e ci saranno state sei-settecento domande. Io fortunatamente avevo mio marito in Africa, perché si è fatto quattro anni e mezzo di Africa, e mi hanno dato questo numero qua. Ogni casa aveva mille metri di terra e poi l'Ente ha venduto le case e io l'ho comprata senza soldi, quella volta là, per un milione e centocinquantamila lire. Trenta anni fa.
Nel palazzetto centrale del villaggio facevano scuola e poi sono venute le Finanze.
Mia madre, Alessandra [...], a Senigallia andava a lavorare dai contadini. Eravamo tre fratelli: io, Marco ed Erminia che ora abita in piazza Milano. 
I tedeschi [?] quando sono arrivati erano in tanti, un formighèr, ma non che ci abbiano maltrattato, c'erano anche delle spose giovani ma sono state rispettate, almeno finché eravamo qua noi.
A Senigallia si dormiva in 17 famiglie su un camerone. Mio padre una volta è venuto a casa in licenza. Alla contessa era morto suo marito e anche una sua figlia, e quando è arrivato mio padre ha messo la nostra famiglia nella stanza in cui prima c'era sua figlia e da quella volta siamo rimasti sempre là. Trattati con i guanti bianchi.
Il viaggio Venezia - Senigallia lo ricordo come bello. Non ero mai montata in nave ... e per la verità non sono neppure mai montata in treno, ho ottant'anni e non sono mai salita in treno. Ho fatto altro che lavorare...

Nastro1994/26 - Lato B

Aggiunte e precisazioni (12 agosto 1994)

La signora di Senigallia in cui mi trovavo era Contevecchi. [?]
In casa nostra [prima di partire] c'era, come unico uomo, un vecchiotto che aveva l'ernia e che poi è morto in profuganza, di spagnola. Là morivano come i ravi, di spagnola, ma nella nostra famiglia nessuno...
Fino al barcone siamo andati con un carro, tirato da un bo e na vaca, tutti e due da fora.
Eravamo tre figli: io del '10, mia sorella del '12 era Duilia, mio fratello Marco del '14. Mia madre era Barz Alessandra.
Io non sono mai andata a scuola e tuttora non so leggere e scrivere. Sono la più vecchia di otto fratelli.
Mio padre sembrava "un senatore" e diceva sempre «se ti mandavo a scuola saresti diventata un senatore, con la testa che hai».
Con mio marito ho fatto quattro anni e mezzo di Africa, in Etiopia.
Quando andavo a lavorare - malgrado avessi tre figli piccoli andavo a cavar bietole ed ero a capo di 25 donne - riuscivo a fare i conti a mente ... ed anche ora che ho quasi 84 anni ho la mente come quando avevo venti anni. Andavo a bietole a Torre di Fine da Marco Pasti; facevo la stagione.
Col barcone, era la prima volta che vi salivo.
Non ricordo con precisione, ma mi sembra proprio di sì, di essere andata con la nave anche fino a Senigallia, ed era la prima volta che salivo su una nave. Non sono mai salita, fino ad oggi, neppure in treno.
Era povertà. Ho allevato anch'io sette figli!
Al tempo della Prima guerra eravamo tre figli profughi, poi ne sono arrivati altri cinque. Mio padre si chiamava Franzo Domenico.
Quando siamo partiti eravamo tutti sopra questo carro come i sìngani, e ci siamo portati via pochissimo. Abbiamo perso tutto, tutto.
E quando siamo venuti a casa dalla guerra siamo andati su una baracca circondata dalle cannelle e in mezzo all'acqua. Ricordo tutte queste cannucce alte, e non eravamo più vicino alla nostra casa in Marina, ma a Ca' Gamba. 
Per mangiare e bere sempre e solo acqua della Cavetta, mentre prima quando eravamo in Marina avevamo un pozzo. Era un'acqua buona perché non ce n'era altra, comunque non era salata. Il pozzo lo si teneva sempre pulito.
In fondo alla via Ca' Gamba, a tre chilometri dalla nostra casa c'era un cimitero militare in cui ogni anno facevano delle feste e venivano con musica e bandiere.
Mio padre appena tornato dalla guerra lavorava con la draga nella Cavetta, che si era ristretta ed era piena di detriti; bisognava ripristinarne l'alveo.
Sempre lavorato tanto e mai andata a scuola.
Nel paese di Cortellazzo, in tempo di guerra c'era il forno di Fuisca, poi c'era la caserma delle finanze e dopo, dove ora c'è "Il Gambero", c'era una casa a un piano e poi c'erano alcune case di contadini lungo il canale Cavetta, e niente altro. Non c'era chiesa; si faceva capo per tutto a Jesolo.
Malaria ce n'era ma noi della nostra famiglia non la prendevamo. Noi Franzo siamo nati e cresciuti a Jesolo, da sempre, anche mia madre.
Ce n'era tanta malaria, specie dopo tornati dalla guerra ... con il marcio che c'era qua.
Quando siamo tornati a casa c'era acqua, e più di cannelle non si vedeva; non ricordo invece di bombe e residuati bellici.
Mai presa malaria: saremo razza forte, perché anche adesso di 8 fratelli siamo tutti otto al mondo, e in più io ho sette figli e sono tutti al mondo. Mi sono sposata nel 34, ed ero incinta.
Mio marito si chiamava Santo Semenzato e il parroco gli disse: «Tu adesso parti per militare, e dopo un mese che sei sotto, ti faccio venire a casa in permesso per il matrimonio». Invece lo hanno mandato in Sardegna e così non ha potuto venire a casa, e quando è tornato è riuscito a stare a casa solo un anno, per mezzo del prete e del padrone della terra. La bambina era ormai nata e mi sono sposata l'anno dopo, quando la bambina aveva 14 mesi.
Dei miei sette figli, quello con cui abito si è sposato il 26 aprile di vent'anni fa e il 27 è morto d'infarto mio marito. Era giovane che pareva un ragazzo. 
In un mese e mezzo, dopo la morte di mio marito ho perso dieci chili di carne, e non li ho più recuperati. Il dottore mi ha tranquillizzato: «Sono dieci anni di vita in più».
Mio marito era dell'11 ... a neppure 63 anni, con l'orgoglio che aveva di essersi costruito la casa! Aveva fatto tutti i mestieri, dal contadino al compressorista. Aveva quattro patenti. Ha lavorato col camion della ghiaia e da ultimo si è messo a fare il tassista qua a Jesolo. Non meritava di morir così giovane...

Da profuga, mia madre lavorava per la signora Contevecchi [?], nella sua tenuta, dove si coltivava di tutto, soprattutto tanta frutta. Io ero sempre in mezzo e questa signora mi voleva un bene. Dio gliene renda merito! ... era vedova.
Aveva anche arance e limoni e io e un'altra amica andavamo tutte le sere a rubarglieli...

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