lunedì 10 maggio 2010

Intervista a Luigi Tramontina

Nato nel 1911 a Poffabro (PN).

Nastro 1998/12 - Lato A   [dall'inizio a 29:22, su nastro originale]               19 maggio 1998
    
Dopo sono passati [gli austriaci], hanno buttato giù le campane e ogni famiglia ha portato le fascine alla base del campanile e sono state buttate giù le campane e portate via;  fascine, perché le campane non si rompessero. La gente ha portato le fascine, tutte, ogni famiglia, quattro o cinque fascine.
I nostri si sono ritirati. Allora io avevo la casa a Poffabro e si doveva venire nelle Fornasatte... 
Mia madre è partita con la mucca, si aveva una mucca noi, ma le strade erano piene di questa ritirata, dei nostri. Mi pare il 4° Bersaglieri, ma non so di preciso.
Sulla strada militare - che è in parte a Frisanco e fa il giro, là dove è scritto "dominio militare" - ci hanno fatto fermare una giornata, con la mucca: io e mia mamma. Io avevo due fratelli e una sorella, ma tutti non si era là, ma io vi ero, ero il più esperto.
Allora l'abbiamo riportata a Poffabro, la mucca, e quando è stato libero siamo andati alle Fornasatte, perché noi l'inverno si andava a farlo in paese e l'estate alle Fornasatte, e là abbiamo una casa ancora. Si vede che i miei vecchi si erano divisi: una metà qua e una casa, la casa principale è al paese.
Abbiamo passato l'inverno "invasi". 
Durante la ritirata non c'era un metro di strada libero per attraversare. Prima erano i nostri, dopo erano loro. E i nostri gli han fatto una piccola resistenza in Forcella Pala Barzana, dove è stato ammazzato un tedesco, al basso della Forcella, là dalla Palazzina del Conte, comunque un tedesco. L'hanno seppellito poco, che siamo andati dopo a vedere ed era con le scarpe di fuori, e abbiamo preso una paura, da bambini, che siamo scappati!
Allora i nostri, sulla Forcella, proprio a Pala Barzana ... ma astuti! Le zolle tagliate quadre, hanno fatto un po' di ... come un muro per nascondersi e tirare giù per la Forcella. Sono 12 km da Pian delle Mérie andar sulla Forcella. Sempre per ritardare l'avanzata. Poi [gli italiani] si sono ritirati e han preso possesso gli altri.
Dopo hanno messo il comando all'albergo, là in paese, a Poffabro. Andavano a perlustrare per le case, un giorno andavano a prendere questo, un giorno quell'altro, roba da mangiare, da portar via, una mucca, ecc.
La massa dei tedeschi era andata avanti, resistenze non ne hanno fatte gli italiani. Non c'era posto da far resistenze, tranne che c'è stato un tedesco morto, io gli ho visto i piedi. E hanno fatto un po' di combattimenti anche giù a Navarons, là dove c'è il fiume che viene giù da Tramonti, dalla Selva ... insomma quel fiume che passa per Navarons, il Meduna, e là mi pare che ci sono stati un undici morti, di italiani. Han combattuto e c'è la lapide, il monumento, mi pare del Quarto Bersaglieri. A Navarons, quando si sale su c'è il monumento là.
Il morto di Pala Barzana l'hanno portato giù. L'ha portato giù Anzul Ciagala [?] ... è andato giù col comando; il comando era venuto all'albergo e questo povero discepolo (perché era solo al mondo, non aveva nessuno, era amico di mio padre) gli hanno dato da mangiare qualcosa, era senza nessuno. Era andato su a prendere questo morto e l'hanno portato nel cimitero di Poffabro, e là ora non c'è più. O meglio l'hanno portato là e là è rimasto (non l'hanno portato in nessun ossario), ma non c'è né croce né lapide che lo ricordi.

Mio padre è tornato a casa senza una gamba.
Mio padre è stato ferito sul Sabotino e l'hanno portato a Milano e gli hanno tagliato la gamba in quattro volte e gliel'hanno scarnata qua [all'altezza del femore].
Così di gambe lui ne aveva tre... Una era col piede, con le sue cinghie. Una era el piston, la chiamava lui, più leggero (un bastone) ma fatta a Milano, fatta a regola d'arte. Una un po' più pesante. Aveva qua sulla cinghia il bottone, tirava, s'inginocchiava. Riusciva a muoversi, camminava. Mio padre, ha lavorato con una gamba.
La gamba artificiale era fatta con una specie di plastica, di compensato, non proprio di legno, non so, non mi ricordo ... ma poi l'abbiamo bruciata, ne abbiamo bruciate due tre, perché gliele facevano gratis, dopo.
Mio padre si chiamava Tramontina Gravèna Giovanni, ed era classe 1881, mentre sua moglie aveva un anno di più ed era del 1880.
Era stato ferito sul Sabotino. Lui era portaferiti, andava a raccogliere i feriti. Mentre andava a tirar su questi feriti, non mi rammento la zona là ... è arrivata una granata: quattro morti, uno troncate le gambe e a mio padre portata via una gamba sopra la noce del ginocchio, la gamba destra. Poi l'hanno portato a Milano, all'ospedale di via Arena n. 3, mi pare, e là ha fatto la sua cura e quando ha finito è venuto a casa.
Dalla noce del ginocchio ha avuto un'infezione che si è trasformata in cancrena, e quel professore che ha curato lui non era tanto bravo, ma soprattutto "chimiche" non ce n'erano e non è riuscito a fare di più.
Aveva le "crottole" [stampelle] quando voleva camminare solo con una gamba e quando invece andava in piazza metteva su, se voleva far poca fatica, el piston, diceva lui; era leggera, solo un bastone. L'altra invece era un po' più grossa e con quella si poteva mettere la scarpa.
Se il professore fosse riuscito a salvargli venti centimetri di gamba mio padre avrebbe vissuto come noi, invece l'infezione si è propagata e hanno dovuto tagliargli la gamba fin su al femore. Quando a Milano mio padre era in fin di vita, mio zio, cognato di mia madre, è stato chiamato dall'ospedale e gli hanno detto che ormai c'erano poche speranze di salvarlo. 
L'hanno operato un'ultima volta, si è svegliato e l'hanno portato sul letto con l'osso di fuori. Spacciato. Invece, fibra forte, ha iniziato a riprendersi e allora gli hanno tagliato anche l'ultimo pezzo di osso. Ma se gli fossero rimasti venti centimetri di gamba lui poteva vivere come uno normale. Invece il sangue ultimamente gli ha fatto la cancrena. Così è morto giovane, a 39 anni, nel 1920. 
Aveva dolori al cambiamento del tempo ... e lui per vivere, quei quattro mesi che è vissuto dopo l'ultima operazione, dapprima aggiustava gerle, e dopo è passato dalle parti di [...] un "aggiusta sedie" e gli ha insegnato il mestiere e così si è messo ad aggiustare [impagliare] le sedie, quelle di una volta, con la paglia. Ha fatto un viaggio a San Daniele [del Friuli], col carro, a prendere la paglia a S. Daniele, perché c'era il lago a S. Daniele. Poi invece l'ha fatta venire da Bologna, e quando è morto è rimasta una catasta di paglia. La paglia la metteva a mollo e poi la lavorava...
Prendeva qualcosa di pensione, e dopo, morto lui, la prendeva mia madre, ma poca roba. Mia madre aveva cinque creature...

Ritornando all'arrivo dei tedeschi. Prima erano passati in ordine gli italiani e gli ultimi soldati nostri a ogni cespuglio avevano fatto una fossa. Dappertutto, sul Fornacetti [?] c'erano tutte queste "tombe", queste buche da poter nascondere la testa e far resistenza. Questo avveniva su, al centro di Poffabro, su questa altura a Fornacetti, che c'è anche una casa là. Li hanno tenuti fermi più che hanno potuto, con il solo [fucile] '91. E i tedeschi sempre dietro, ma a corona. 
Insomma facevano contatto italiani e tedeschi, ma dove c'era la possibilità di fare contatto. Passando su di là, i nostri hanno lasciato sul Moè [?], sul torrente Moè, una cucina da campo, hanno lasciato un camion buttato giù in parte e noi bambini si andava a sedere dentro a questa cosa, finché i tedeschi hanno ramazzato tutto, dopo qualche mese.
Durante l'occupazione: «mangiar niente»! Nessuno dava niente, botteghe non ce n'era, si partiva e si andava "per le Basse". Uno dava un pomodoro, uno dava una palotta di farina, una elemosina e se si aveva una lira si comprava un sacchetto di biava.
Io avevo sei anni, mio fratello più vecchio era del Sette e un altro più piccolo era del Quattordici. Eravamo bambini.
Il più delle volte andavano giù mia sorella più vecchia con le sue compagne. Andavano «a provédi», così si diceva. Si andava in cerca di fortuna, di mangiare. "Nelle Basse" voleva dire andare dappertutto: Vivaro, Tezze, Basaldella, Latisana. Si stava via anche di notte, anche due tre giorni, anche una settimana. Si andava a dormir per le stalle, a dormir per le stalle.
Anche io e mio padre andavamo, lui con le stampelle. Andavamo a tirar giù l'uva e si dormiva sulla stalla e si mangiava qualche cosa. Io avevo coraggio e domandavo un pomodoro. Ma nessuno è proprio morto di fame.
Tutti si aveva un campetto di patate, e quando era il momento della raccolta bisognava stare attenti, la notte, perché i prigionieri nostri, disertori, venivano a rubar le patate.
Erano quelli che durante la ritirata non sono andati avanti e sono rimasti indietro e per non andar con i tedeschi. Vivevano nelle grotte. In tanti posti. Anche là ... passata la cava, vi porto io oggi, che c'è ancora la grotta con il segno del fuoco... Bisogna andar su e saper dove andare. C'era rimasta la cenere e i pezzi di granoturco, manici di zucche e così vivevano. E la notte, noi che avevamo i nostri campetti, si doveva stare attenti perché loro, poveretti, venivano a rubarci.
E allora, a turno, su dal Bus di Colvere, davanti a quel capitello, là dall'albergo San Paolo, io ho il campo là sotto. A turno, perché i campetti erano tutti assieme, si faceva la guardia a turno, di notte. Non avevamo paura, perché "erano soldati di niente", erano con le scarpe rotte anche loro, dormivano come le galline, eh...
Se venivano presi venivano portati dai tedeschi, al comando e il comando li spediva in prigionia. Se i tedeschi sapevano che [in tal posto] c'era questa caverna con 12 o 7 sbandati, andavano là, la circondavano e li prendevano, li portavano al comando e poi li spedivano. E questo è successo più di qualche volta.
Nella zona qua delle Fornasatte era dove ne dormivano un pochi. Ma in tanti posti ce n'erano, anche per le stalle in giro. Erano senza armi, avevano buttato via tutto, se ne stavano nascosti e noi li chiamavamo disertórs. La gente del paese non ne aveva paura. Erano poveretti come noi, se si fosse potuto aiutarli li si avrebbe aiutati, ma noi non si poteva aiutare nessuno perché a casa mia eravamo in sei persone, mio padre, mia madre e quattro figli. In tutto tre maschi e tre femmine.
Quando sono ritornati gli italiani, me lo ricordo, siamo andati a Maniago ad aspettarli. Sono arrivati prima i bersaglieri a Maniago, non so che reggimento. C'era tantissima gente ad aspettarli, c'era la piazza che si moriva a muoversi, quando sono arrivati questi primi bersaglieri e i tedeschi se n'erano andati, spariti. Ed era un tu per tu, perché noi siamo stati invasi per un anno ... e chi poteva scappare scappava svelto, chi era organizzato ancora portava il suo reparto dietro.
Noi bambini sapevamo che stavano arrivando gli italiani, perché si era come le galline, sempre in giro. Si era al corrente. La borgata dove ero io (Fornasatte) era al corrente. In particolare c'era un uomo che si chiamava Marcolin Angelo – che ha fatto la pietra di quei ponti della ferrovia qua, quegli archi - e lui era un uomo esperto, lui aveva contatto con il mondo. E dopo, poveretto, è andato via lui e tutta la famiglia in America e là son morti tutti.
I bersaglieri non parlavano con un bambino come me, andavano dove vedevano una ragazza! Con quelle biciclette di una volta...
Non ricordo se siano state messe fuori delle bandiere, all'arrivo degli italiani.
Eh, son tante robe piccole, non valorose.
E su tante cose posso ritornarci sopra. Ero esperto io, perché giravo sempre...
L'anno dell'invasione non siamo andati a scuola; solo l'anno dopo, ma poca scuola anche l'anno dopo.
E quando hanno buttato giù le campane, ogni famiglia portava due fascine perché buttavano giù le campane ... al campanile di Poffabro, e dopo le han portate - quelle di tutti tre i paesi - sulla "Crociera", quella casa che va in su ... vicino alla chiesa c'è un portone e là le hanno scaricate tutti e tre i paesi (Poffabro, Frisanco e Casasola). La "Crociera" sarebbe un incrocio, dove c'è il monumento.
Venivano delle montane, delle piove che quelli della casa hanno detto ... che con il peso delle campane e con la montana, la loro casa si è un po' incrinata e poi hanno richiesto i danni di guerra...
In tutto erano tre, e tre sei, e tre nove campane, "grande, mezzana e piccola"...

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