domenica 2 maggio 2010

Intervista a Nerina Ganz

Nata il 25 settembre 1902 a Falcade, residente sul Montello a Santa Maria della Vittoria.
[Presente il nipote Angelo M.]

Nastro 1986/24 - Lato A                        26 ottobre 1986

Io mi chiamo Ganz, ho un nome todesco, perché Falcade una volta era sotto i todeschi e allora ci sono tanti cognomi austriachi, come Ganz, è austriaco, Mùrer, Strin.
D. Murer, come il famoso scultore.
R. Ah, il parente delle cose ... sì, so io dove ... lavorava dentro al mulino in un buco, là...
Sono nata il 25 settembre 1902 a Falcade. Ho sposato Marsura Innocente, che loro vengono da Santo Stefano di Valdobbiadene. Il mio soprannome è Muss. Là ce ne sono ancora tanti, anche i miei parenti. E sa perchè hanno messo questo soprannome? Perché una volta mi diceva mio papà (avevo 14 anni quando è morto) ... facevano il carbone su per le montagne, e alle 11 passavano sempre quelli dei muss [asini] a portar giù il carbone. 
Questi conducenti hanno iniziato a chiamarli quelli "del muss", e [...] lassù ancora mi chiamano la Nerina dei Muss. Perché Ganz ce ne sono tanti, ma tantissimi, ce n'erano anche attorno a casa nostra ... nelle lettere mettevano Ganz Giovanni Muss per distinguerlo.
Mio papà era Giovanni e mia mamma era Fenti Maria, da Caviola, che era parente dei partigiani ... Brigata Fenti, da Caviola, che sono stati ammazzati, e la nominano anche adesso questa Brigata Fenti. I partigiani erano miei parenti, mio cugino. Ho parenti io a Caviola, mia mamma era una Fenti da Caviola.
Io abito sul Montello d'estate, e d'inverno vado da mio figlio qua a Biadene che ha fatto la casa nuova. Ma d'estate mi piace abitare qua. [...] 
Sono arrivata con i miei fratelli, nel '21. Mio fratello era a lavorare in Valdobbiadene, falegname. Là c'erano tutte le case buttate giù dalla guerra e loro venivano a lavorare a Valdobbiadene.
A Falcade c'era tanta di quella miseria e tanta di quella miseria! È passata la guerra, hanno vinto la guerra, ma non hanno vinto la miseria! Perché lavori non ce n'erano, la gente era tutta ammalata, le donne dovevano farsi tutte 'il busto' per l'effetto della guerra, perché è stata la prima iniqua guerra.
Dunque da Falcade a San Pellegrino erano 11 km e noi si era nove km lontani dal fronte. Soldati, pidocchi, bombardamenti. Io ho visto di tutto, in quella guerra là. Perché in zona di guerra siamo stati quattro anni che non si poteva mai accender el ciàro, il lumino ad olio che non ci si vedeva neanche a bestemmiare, dicevano quelli di Falcade. Si era in zona di guerra, non si poteva andar fuori del comune, mai suonare le campane in quel tempo che siamo state là, finché non è finita la guerra. Si era pieni di soldati, il fronte era là comodo, io non so perché non ci hanno fatto andar profughi. Ma non è mai stato bombardato.
D. Avevate anche fame?
R. Prima che venissero i tedeschi, no, non c'era fame, in certo modo. Ma dopo sono venuti i tedeschi. Oh, quanti ne sono morti di vecchi. I vecchi sono morti quasi tutti, del nostro paese. Ma ce ne sono tanti paesi, Falcade, Falcade Basso, Falcade Alto [...] In tutti questi paesi attorno alle montagne ... sono morti dalla fame, i vecchi sì. Che non c'era da mangiare! I todeschi non ci hanno dato niente! Neanche un chilo di riso, in un anno che sono stati là. Tutta la gente doveva arrangiarsi. Allora patate e erbe, patate e erbe, patate e erbe, e tutti pisciavano nel letto, con rispetto; giovani e vecchi, a forza di mangiare patate e erbe.
Non c'era da mangiare! I giovani hanno resistito, ma i vecchi si gonfiavano le gambe e morivano. E anche tanti bambini.
Dopo è venuta la spagnola, ma quella è differente. 
E dopo non c'erano più lavori, non c'erano più lavori. Allora i miei fratelli hanno pensato di venire quaggiù.

Siamo partiti da dove il Signore aveva un sacchetto di miseria ... e siamo venuti dove ha buttato giù la polvere! Qua, sul Mantel! 

Trenta campi di terra, incolta ... 28 campi, sulla 16, a 1000 lire al campo. Io sono venuta qua nell'autunno del '20, i fratelli hanno preparato una baracca, hanno mandato giù i legnami da Falcade con il camion e hanno messo su una baracca. Siamo stati dodici anni sulla baracca!
D. 1000 lire al campo. Ma dove avete trovato i soldi?
R. Hanno venduto lassù, hanno venduto le case. Si aveva una casa grande lassù e si avevano un pochi di campi.
D. Cosa facevate lassù? Che mestiere.
R. Gli uomini giravano tutti il mondo. Andavano fuori per la Germania, gli uomini, a lavorare, prima della guerra del '15. Facevano i muratori, quasi tutti muratori. Andavano fuori per la Germania, via per la Svizzera, mio papà era a Tun, era a Canton Grigion, era a Vintertur; mi ricordo ancora gli indirizzi, guarda tu.
E le femmine lavoravano la campagna; segavano (falciavano) anche. Se le vedeva a prendere erba su per la montagna! Con la messóra. Tutte le donne, falciavano, portavano il fieno con la testa. E le patate, e il campo... Con la gerla sulla schiena. Tutto, tutto con le gerla. 
D'inverno andavano con le slitte, perché veniva tanta neve e gli uomini portavano la legna, ma d'estate si arrangiavano tutto le femmine; e quando avevano 65 anni erano vecchie, morivano.
Quelli che facevano il carbone erano ancora al tempo di mio padre, quando era giovane, l'epoca prima, all'epoca di mio nonno; dopo non facevano più questo carbone, non so per quale motivo, si vede che i boschi erano stati distrutti. Dopo hanno iniziato ad andare a lavorare in Germania, in Austria, in Svizzera. Andavano a piedi, andavano via a piedi, stavano una stagione e alla vigilia di Natale venivano tutti a casa. Stavano a casa due mesi e dopo prendevano i soldi "del prestito" [a prestito] e andavano via. Quando avevano pagato i soldi del prestito avanzavano poco! Senza - cosa gli dicono adesso - senza sussidi e senza niente. Lavoravano.
Mio nonno era siorét, perché mia nonna ha sposato un malato e questo uomo ammalato era un gran signore, aveva tante campagne e loro hanno detto: «Sposalo, che non ti dura tanto!». Lo sentivo dire da mia madre, da mio padre ... perché ero giovane [...]
Tenevano bestie, tante, da quelle parti, e poi portavano il latte alla latteria e la latteria era consorziata, con il burro ... e si prendevano tanti soldi d'inverno. C'erano tante latterie, tante bestie...
D. Come "consorziati col burro"?
R. Loro facevano il burro, d'inverno, sulle latterie e dopo lo portavano in Agordo e in Agordo c'era il Consorzio, che prendeva su, e ogni mese gli dava i suoi soldi. Lo mandavano in Agordo, questo burro.
Noi prima di partire da Falcade avevamo due vacche in stalla. Chi ne aveva tante ne aveva tre; ma con tre vacche si era siori là. Ma scherza! Una vacca, due capre, due vacche. Chi era più ricco ne teneva tre. E anche il maiale, la nostra famiglia lo teneva. Ma non era neppure metà delle famiglie che teneva il maiale, là...
Arrivo sul Montello.
Qua hanno tagliato il bosco e dopo ... le terre, le più buone le hanno vendute a un signore che si chiamava Mantello, che abitava dalle parti di Agordo [o Asolo?]. Per quello si dice "sul bosco de Mantel". Ha mai sentito? E i miei fratelli hanno comperato da questo Mantel.
Quando siamo arrivati avevano tagliato il bosco, avevano levato anche le ceppaie [...] e abbiamo trovato le trincee, abbiamo trovato il camminamento che partiva fuori da Peròt e andava e passava sulla nostra proprietà. Disastri erano. C'erano ancora le tombe dove avevano seppellito i morti provvisori. Dappertutto disastri ... ma dopo, piano piano è venuto su il bosco.
D. Avete trovato le ossa?
R. No, noi no; li avevano portati via i morti. C'erano ancora le tombe ma i morti li avevano già portati via, negli ossari. Ma c'erano reticolati, c'erano bombe ... [se ne trovano anche adesso, interviene il nipote]
Coso, come si chiama, Bicerín, è vissuto con le bombe che trovavano qua sul bosco. Bicerín viveva con le bombe che trovava qua sul bosco, col recupero, perché qua è una terra "molla" e dicevano così che se non c'era la terra molla non si salvava neanche il gatto, dai bombardamenti che facevano qua sul Mantel. Da Valdobbiadene bombardavano, ma qua è una terra molla molla e le bombe si sprofondavano tutte; sprofondavano e non scoppiavano, ne scoppiava qualcheduna. 
Dopo sono passati e ne hanno trovate tante che non si sa, di queste bombe, perché erano tutte fonde ... perché la terra, adesso non ci faccio più caso, ma una volta si sentiva uno camminare - adesso sono venuti su questi boschi e non si sente più così - a venti trenta metri di distanza, anche di notte ... dalla terra molla che c'era, qua sul Mantel.
D. Terra molla ... sarebbe morbida, soffice?
R. Sì, sì. E dove c'è tutta terra la bomba ha fatto la buca e dove sotto c'è roccia, esplodeva.
Dopo la guerra sì, tanti, tanti andavano a recuperare. Ma c'era [solo] qualcuno che viveva così, qualche famiglia che riusciva a tirar avanti. Non far soldi, non comprar terra: si ingegnavano, vivevano così. Dopo il Mantel qua era tanto ricco...
D. Lei lo chiama Mantèl, non Montello...
R. Dicono che sia Montello, proprio, Montello ... ma noi diciamo Mantèl per fare più presto.
Dopo la guerra tanti sono andati via in America ... Prima della guerra era stata lavorata la loro terra, la loro campagna, "el logo", quello che su per Trento chiamano "el Maso". [...] Però c'era stata la guerra e il bosco era tutto pieno di fréza, un'erba che cresce sul magro. Era tutto selvatico, senza casa.
I miei fratelli hanno fatto la baracca con i legnami da Falcade. Dopo l'hanno fatta di muro. Noi si aveva forza, eravamo in quattro fratelli maschi, tutti da sposare più due sorelle: io di 18 anni e mia sorella di 16, e due erano sposate. I quattro fratelli erano uno del '90, uno del '92, uno del '94 ... poi le due ragazze e poi un altro maschio del '10. Noi si aveva la forza. Allora noi abbiamo fatto arare le terre dai buoi e poi le abbiamo spaccate tutte con la zappa. Tutta la primavera. Dopo abbiamo fatto le bestie nostre e i buoi nostri,  e ... dopo siamo andati avanti! I figli si sono sposati e anche noi ci siamo sposate e tutti si sono fatti le case nuove. [...]
Ci siamo portati da Falcade due vacche e un toretto, più le galline, e nell'anno che mi sono sposata io, nel '32, abbiamo fatto 45 quintali di frumento. Dopo si stava bene... 

Nastro 1986/24 - Lato B

Adesso ho solo la lingua buona, le gambe invece mi hanno tradito.
Qua ci siamo trovati meglio che a Falcade. Adesso ritorno ogni anno in paese, ma sto là due tre giorni e poi ritorno qua. Non mi piace più il paese. Primo perché non conosco più nessuno; là c'è un grumo di gente ad agosto, poi più niente. Freddo e pioggia; invece da piccola...
Ho pianto, io e mia sorella, quando ho lasciato Falcade. Venir qua, in questo bosco qua. Maria Vergine! Solo alla festa da Neno Bastianèl suonavano l'armonica e allora mia mamma ci spingeva ad andar fuori. E quello ci bastava.
Ho avuto sei figli, tre figlie e tre figli. Mi sono sposata a trent'anni.

In tempo di guerra mi ero fatta male con una scheggia, a Falcade. Perché quando hanno finito la guerra, quando hanno fatto la ritirata [dopo Caporetto] ... la polveriera era poco distante dalla nostra casa e ci hanno detto che alle cinque della mattina si andasse via, che facevano scoppiare la polveriera. Noi siamo andati via, noi ... ma dopo mia madre aveva la vacca ... aveva più passione della vacca che di noialtri! Aveva la capra, aveva il maialino. Eh, tosàte, ha detto, andiamo a farci da mangiare noi. Intanto che era là che dava da mangiare al maiale, scoppia la polveriera, viene giù un pezzo di soffitto, questo maiale che scappa, la capra che gli corre dietro ed era attaccata alla catena, e noi tutte che si urlava e a me è saltata come una scheggia qua sulla mano, che si è bloccata... 
Dopo, dottori non ce n'erano, non c'era più niente. Da mangiare non ce n'era, dottori non ce n'erano là, altro che todeschi, pic ploc, pic ploc ... là non si capiva niente! Eh, così. Allora mia madre ha fasciato un po' la mano e dopo sono guarita io, ma...
[...]
Nel '23 qua sopra hanno messo la baracca e hanno fatto la prima messa, in autunno, il giorno della Madonna del Rosario. Doveva venire don Orazio, non ricordo il cognome. 
La nostra parrocchia era Caonada. La nostra baracca era sotto il comune di Montebelluna e per la scuola si andava a Crocetta. Il confine era là, e a volte si andava a Ciano che era più comodo e delle volte si andava a Caonada, ma a Caonada non si andava tanto perché era più lunga. Quando si andava giù si faceva una cantata, io e mia sorella Maria e la Giovanna; e dopo giù, a messa.
Era lunghetta ma ... Si pensi che quando ero a Falcade, [quando] si andava sul bosco [...] si partiva da lassù col fagotto sulla testa e si veniva giù. In confronto andare a messa a Ciano era come fare la strada dell'orto. Là a Falcade si portava tutto con la gerla.
Mio fratello che aveva dieci anni è andato a scuola un anno, qua sulla [presa] 18, a S. Lucia. La scuola c'era già quando siamo arrivati, come pure c'era già sulla 12. La spesa andavamo farla al mercato di Montebelluna. Si scendeva con una cesta di uova ... per questo mi piaceva ... perché qua c'era il commercio. Perché a Falcade, se avevi qualcosa da vendere non sapevi a chi vendere, non c'era commercio, non c'era niente. Anche adesso c'è il turismo, ma non c'è il commercio.
Qua a Montebelluna c'erano le Tombolane [le commercianti di Tombolo] che ti correvano dietro quando ti vedevano arrivare.
[...]
Poi sono andata due anni in fabbrica a Vercelli, a lavorare in fabbrica per potermi comprare la macchina da cucire "a piedi", perché a me piaceva lavorare da sarta. Sono andata a Vercelli in fabbrica e dopo due anni ho preso i soldi per comprare la macchina, che mi è costata 1100 lire.
Dormivo in un convitto di suore e si lavorava nello Jutificio Vercellese. Faceva da tramite una donna di Lentiai. Era una fabbrica tremenda: dodici ore al giorno dietro un telaio, sei al mattino e sei al pomeriggio. Sono partita nel '29 e si lavorava a cottimo. Altro che adesso che fanno otto ore. Poi nel convitto delle suore si alloggiava ... e come comandavano queste suore! Ferie, otto giorni di ferie. Si guadagnava, ma quanto lavorare!
Poi con la macchina lavoravo a tempo perso. Facevo abiti da femmina e braghe da uomini. Lavoravo a tempo perso, cioè quando gli altri andavano a letto al pomeriggio, oppure alla notte fino a mezzanotte. Lavoravo giorno e notte. Non ero mai stanca di lavorare. 
Ci penso tante volte a quegli anni, ma anche dopo sposata ... ho allevato sei figli e non ero mai stanca! Bevevo due bicchieri di vino merican bianc - il contrario del merican moro - bianco, vino selvatico; non era tanto buono ma faceva digerire. Adesso non bevo neanche più.
La Singer mi costava 1100 lire e costava più della Necchi, che pure era buona ma costava 700 lire, solo che la Necchi non pagava la dogana. La Singer era una marca buona, americana, non ha mai avuto problemi.
La luce elettrica l'abbiamo avuta nel '46; prima c'era il lume a petrolio.
Con l'acqua non so come si sia riusciti a star sani. Qua c'era una volta la Fontana Bocchin, è anche segnata sulle carte; acqua buona, medicinale.
La fontana era stata preparata dal comune, ma per due mesi acqua non ne usciva. Allora bisognava andarla a prender nella Brentella con la botte, e si faceva tutto con quell'acqua.
Ma anche a Falcade d'estate bisognava andarsi a prendere l'acqua nelle uniche due fontane del paese, e facevano baruffa quelli dell'albergo perché non c'era acqua. C'era sì una sorgente che veniva giù dalla Marmolada, ma era solforosa e non era buona da usare. Non tutte le acque erano buone anche in montagna. Anche sul S. Pellegrino non era buona: ti faceva venir mal di pancia.
Nella "fontana Bocchina" c'erano una specie di sanguisughe, e poi rane, tante. L'acqua in casa qua nel Montello l'abbiamo dal '61. Comunque l'acqua di questa "fontana Bocchina" era considerata medicinale. 
Interviene il nipote Angelo M. Adesso da questa fontana hanno portato via anche la croda che la riparava, una pietra bella, lavorata... 

[...]
Qua durante la Seconda guerra c'erano tedeschi con una postazione e gruppi di partigiani armati. Poi i tedeschi hanno fatto rastrellamento. Hanno bloccato la [presa] 11 e la 12 e hanno impiccato due-tre ragazzi, che non c'entravano per niente.

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