lunedì 3 maggio 2010

Intervista a Marco Girotto (Campanèr)

http://Nato nel 1912 a Cappella di Scorzè (VE).

Nastro 1999/3 - Lato B                             11 settembre 1999

Mi ricordo degli austriaci e tedeschi che passavano proprio di qua, per la nostra strada principale da Mogliano a Scorzè, dopo Caporetto. Io avevo sei anni. Prigionieri tedeschi e austriaci che passavano di qua e andavano sul campo di concentramento, qua dietro la villa che c'è di là della strada dove abito adesso. All'epoca, dietro questa villa [che poi è anche dietro la chiesa] c'era un campo di terra, normalmente coltivato. Su quel campo là i tedeschi sono andati prigionieri.
Mi ricordo che venivano giù questi prigionieri, portandosi ciascuno dei fasci di canne di granoturco per dormire di notte, per dormire sulla terra nuda ... e mentre venivano avanti si portavano sulle spalle questi fagotti di canne. Li guardavo passare lungo strada, stando sulla soglia della porta di casa mia e non so se sia stato un tedesco o un austriaco, mi ha preso la polenta che tenevo in mano e stavo mangiando. Ricordo ancora il gesto rapido e deciso, lo strappo ... e lui che si mette in bocca la polenta. Tutto in un attimo, e io sono rimasto là, "incantà" [a bocca aperta] a guardare questa cosa. Era verso sera, sull'imbrunire, d'estate. [Durante la battaglia solstizio].
Quella che io mangiavo era polenta, solo polenta, perché all'epoca c'era anche poco da mangiare ... eppure mi ha strappato la polenta che avevo in mano.
Faccio l'organista e così ho trasmesso al figlio questa passione. Ma ho fatto anche il campanaro fino a 40 anni, come pure mio padre Vincenzo, classe 1888 e mio nonno Nicodemo. Poi ho fatto l'organista e vivevo di questo con i proventi del mio lavoro per la chiesa. [Informazione data al telefono martedì 14 settembre 1999]
Ho cominciato a suonare l'organo quando avevo 15 anni e andavo a scuola d'organo a Treviso con il maestro [Giovanni] D'Alessi, nella "scuola Ceciliana" di Treviso, mentre mio figlio Marcello Girotto classe 1947, sposato, 4 figli, ha studiato al conservatorio di Padova.
Mi ricordo che portavo a questi austriaci - c'era un muro [a mura] dietro la chiesa - e allora scavalcavo un po' il muro, mi arrampicavo e buttavo loro qualche pannocchia di granoturco per mangiare. Perché questi tedeschi, o austriaci, in questo campo di concentramento erano pieni di fame e allora mi chiedevano se avevo qualcosa. Io mi arrampicavo un po' sul muro, alto circa due metri; c'è ancora.
A mura era fatta per dividere la chiesa da questo campo, e quando i prigionieri sono arrivati, il muro era già stato costruito dai proprietari del terreno, che erano i Toffolo. Questa villa davanti casa mia era del maestro Toffolo, che era maestro di musica...

Nastro 1999/4 - Lato A

Il maestro si chiamava Toffolo Giovanni e durante la guerra era ufficiale e direttore di banda; poi dopo la guerra fu anche direttore della banda di Schio. La padrona si chiamava Merli Chiara. Avevano due figlie: una professoressa di arpa e l'altra professoressa di pianoforte, e da loro, da queste signorine ho imparato le prime scale ... e la passione per la musica, che poi ho proseguito per conto mio.
In quel terreno di Toffolo, quando sono arrivati i prigionieri la terra era libera. Di solito seminavano frumento, cereali. Poi il campo è stato circondato da una rete e spianato bene.
Prigionieri erano! E quando mi vedevano arrampicato sulla mura mi chiedevano kukurussa, kukurussa cioè granoturco, e mi facevano capire che mi avrebbero dato una corona ... che sarebbero state come diecimila lire di adesso. Avvolgevano questa corona su un fagottino di carta in cui ci mettevano anche un sasso per darci più peso e poi mi buttavano i soldi di qua della mura. Allora io gli buttavo la pannocchia di là, nel campo. Kukurussa, questa parola me la ricordo ancora...
D. Quanto tempo sono rimasti qua a Cappella?
R. Due tre mesi, anche di più ... perché dentro vi hanno fatto anche i bagni e tutto, con il cemento armato e quindi possono essere stati qua un anno e anche di più. Sono rimasti qua, fermi qua, per parecchio tempo.
Mi ricordo di un colonnello italiano senza un braccio, che risiedeva su quest'altra villa di qua, villa Franco. La proprietaria era la signora Anna Cavalieri, cui era intestato il terreno, e lui si chiamava Francesco, ma era la signora Franco. [?]
Avrà avuto una cinquantina di campi; mentre Toffolo avrà avuto un 4-5 campi, non di più.
Il campo di concentramento era un campo normale, un campo trevigiano, circa 5000 metri [corrisponde cioè al campo sportivo attuale] e in questo campo potevano starci un migliaio di persone. Ah sì, un migliaio, stretti... Poi hanno fatto delle baracche e mi ricordo che davanti alla chiesa, nel sagrato, c'erano non so quanti camion con le gomme piene, una trentina di camion, tutti in fila messi bene e passando per la strada si vedevano tutti questi camion... pronti per essere chiamati al fronte.
Il colonnello senza braccio, me lo ricordo perché mi dispensava il rancio con i militari. Quand'era verso le sette di sera ci radunava una squadra di ragazzi - anche allora era fame - e noi andavamo con una gavetta o con un qualche recipiente e ci buttava dentro la minestra e noi tutti contenti si portava a casa la minestra e si mangiava e un po' ne veniva anche per chi era a casa. La chiamavamo sbòba, noi altri, non so ... roba militare, insomma, il rancio, riséta. I soldati mangiavano riso, ma di quello più scadente; non so se questo mangiare fosse anche per i prigionieri.
Dall'interno del campo i prigionieri non uscivano mai. Rimanevano sempre dentro là.
D. Li sentiva a volte gridare, protestare?
R. No, non ricordo di aver sentito. Perché eravamo di qua della mura e la mura era alta più di due metri.

Gli chiedo se ha foto dei militari e prigionieri. Niente. 
Ha la foto del suo matrimonio con cavallo e poi quella della chiesa di Cappella in costruzione (1911) e altre foto d'epoca.
Il campanile è del 1749. La chiesa vecchia è stata abbattuta e poi ricostruita, ne è conservata solo una lapide del '700, murata sulla parete esterna a est.
Andiamo a vedere il muro di recinzione del campo di prigionia, attraversando la strada Moglianese, davanti a casa sua.
Sulla facciata della chiesa c'è la lapide del maggiore Ferruccio Franco, morto in guerra, disposta sopra (all'inizio) della lapide con i nomi di tutti gli altri caduti del paese.
Arriviamo alla mura, attuale recinzione del campo sportivo. La mura si è conservata esattamente come era allora. Girotto si mette nel punto in cui si arrampicava da bambino per buttare le pannocchie ai prigionieri. Era con qualche altro suo amico, in particolare con Giuseppe Ferro, classe 1912 e altri di cui non ricorda il nome.
Ribadisce che secondo lui erano circa un migliaio, i prigionieri... 

Erano tanti là dentro, e poi ricordo due squadroni di prigionieri, quella volta, che venivano avanti con le canne di granoturco in spalla, che hanno usato per dormire alla notte.
Le baracche sono state messe ai lati del campo, non ricordo con precisione dove. L'apertura attuale per il campo sportivo, apertura che allora non c'era, si trova all'altezza dei bagni dei prigionieri. Erano in cemento armato, fatti bene.
L'ingresso del campo era al centro della mura, dietro la villa Toffolo, sul lato ovest della chiesa.
Mi sembra che baracche e bagni siano stati portati via dopo un anno, dai militari.
Il campanile della chiesa è alto 47 metri.
Qua davanti c'era il colonnello senza braccio, che comandava tutto.
Interviene una signora che sta facendo pulizie dentro alla chiesa: A. V. 
[Non vuol dire il suo cognome; verrò a conoscerlo per altra fonte]
Dice la signora che  ...  nel "prà" dove adesso lavora Ico Barboja, in quello di Zuin, mio nonno mi raccontava ... mia nonna ... che nel prà di Toffolo, quello che ora lavoriamo noi e che poi hanno venduto, era tutto pieno di prigionieri. Questo posto era vicino al fiume Dese, sempre in territorio di Cappella di Scorzè. I terreni erano ... uno di Toffolo; ma si può dire che i prigionieri austriaci erano «nei prati vicino al Dese».
Mia nonna mi raccontava che i prigionieri erano là con queste coperte, sotto la pioggia. Mio papà che era un ragazzo, del 1904, raccontava sempre ... che da Canali aveva dormito Cadorna, quella volta. Canali sarebbe a un km, un km e mezzo da qua. Era il palazzo del sindaco, e adesso è stato buttato giù e vi abita la famiglia Busato, il figlio di Tarcisio Pol. Non so se Cadorna vi abbia dormito durante la ritirata di Caporetto, ma certo in tempo di guerra.
[...] Mio papà e mia nonna mi dicevano che questi prigionieri davano un orologio in cambio di kukurussa, cioè di granoturco. Così me la raccontavano i miei.
Commenta Girotto: «Uno è disposto a dare tutto quello che ha, pur di mangiare, pur di tirare avanti».
A.V.  Questi prigionieri erano sotto la pioggia...
Girotto. Io le pannocchie le avevo perché a quel tempo la mia era la famiglia del sagrestano e quindi il paese le dava le pannocchie.
Il parroco attuale, avrà una sessantina d'anni e si chiama don Giovanni Mason, attualmente è in ospedale da una ventina di giorni ... problemi di circolazione [...]

Ritorniamo verso la casa di Girotto. All'epoca la sua casa era sulla sinistra della strada, verso Mogliano, ed era di proprietà della parrocchia.

In famiglia eravamo cinque fratelli e due sorelle, ma solo io andavo a vedere i prigionieri. Gli altri fratelli erano tutti via. Chi era militare ... io ero il più piccolo ... gli altri erano a lavorare.

A casa di Girotto riproduco la foto della chiesa nuova di Cappella in costruzione: suo papà è quello con le braccia aperte, con berretto e baffi, sulla dx della porta della chiesa, all'altezza del pilastro, il secondo. Il capomastro responsabile della costruzione della chiesa era Tonio Menegotto da Martellago.

Dopo la guerra i tedeschi sono venuti a riprendersi i loro prigionieri morti, che erano stati sepolti nel cimitero di Cappella.
Sono venuti loro, li hanno esumati e li hanno portati a casa. Saranno stati 7-8 prigionieri morti. Mi sembra che siano venuti a prenderli con dei camion. La gente del posto guardava, curiosa. Non ricordo altri particolari.
Il cimitero era (ed è) a circa cinquecento metri dalla chiesa.

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