domenica 9 maggio 2010

Intervista a Gina e Rina Vendrame

Nate a Salettuol di Maserada (TV) rispettivamente nel 1913 e nel 1909.

Nastro 1994/6 - Lato A                              27 aprile 1994
    
Mi ricordo che mio nonno aveva fatto tanto vino ed avevamo la porta nel retro, vicino all'argine e i soldati venivano dentro con la borraccia e la riempivano di vino.
Siamo rimasti qua a Salettuol fino a che non siamo stati mandati via. 
Nel frattempo mio padre e mio zio erano stati richiamati, della territoriale ... e in particolare mi sembra che in occasione della grande offensiva sia venuto ad avvertirci nostro papà Vendrame Massimo ... in casa c'era anche il nonno Giuseppe Vendrame.
Siamo scappati in direzione di Treviso caricando in un carretto un po' di roba. Il carretto era trainato da una vacca e un musso... Sul carro eravamo in tre sorelle (Gina 1913, Rina 1909, Fortunata 1907).
Sono venuti i carabinieri a mandarci via dalla casa vicino alla chiesetta di San Rocco, dove adesso hanno fatto il sottopassaggio. 
Siamo andati profughi a Vascon, ma c'era sempre mio nonno che ritornava in prima linea a prendere il pane, per la vacca e il musso. A Vascon eravamo da un certo Carlesso, che aveva fatto una specie di rifugio sotto el paièr.
Dopo, quando mio padre è venuto a sapere della grande offensiva [battaglia Solstizio], da Vascon ci siamo diretti a Zero Branco. A Zero non sapevamo dove andare e allora i carabinieri ci hanno portato in una famiglia di contadini che avevano il carro con il fieno caricato. La nostra mussa e la vacca si sono messe a mangiare il fieno e quei contadini hanno avuto il coraggio di mandarci fuori. Allora cosa facciamo? Siamo stati alloggiati in caserma. Era di sera ormai, dove si va? ... foresti.
I carabinieri ci hanno accompagnato in un'altra famiglia di contadini di Zero dove invece siamo stati accettati come fossimo della famiglia. Era un signore da solo, per la verità, e si chiamava Franchin Domenico, il quale ha detto: «Voi ci date i soldi che vi passano di sussidio e noi vi diamo da mangiare».
In paese dicevano: «Ocio i profughi, che te fae magnar dai profughi!», mia mamma me lo raccontava sempre... 
A Zero abbiamo svuotato la tèza e vi abbiamo portato sopra i paion [pagliericci].
Siamo rimasti a Zero finché è finita la guerra e poi, fra le due famiglie è rimasta anche una buona amicizia. Loro venivano a trovarci, dopo la guerra, come amici...
Franchin abitava verso Cappella di Scorzè, e sua madre a volte preparava anche cinque sei polente al giorno per i prigionieri che passavano, che a volte mangiavano anche la polenta dei maiali, quel che c'era. 
Questi Franchin erano contadini, avevano vivai di piante e frutti e nostro nonno li aiutava a lavorare...
Quando siamo ritornati a Salettuol ci hanno messi nelle baracche davanti alla nostra casa, di fronte [a dove adesso c'è] il monumento, dove c'era un deposito di granate.
Là davanti alla nostra casa c'era anche una pesa per i sassi che [dal Piave] venivano portati alla fornace, una fornace come quella che c'è adesso verso Maserada, ma non è la stessa...
A Salettuol, davanti alla nostra casa c'erano tutti camminamenti e davanti all'osteria (ora Glorioso Piave), là c'era una gran buca e quella era tutta piena di soldati morti. La buca era stata scavata dalle granate ... e quando siamo ritornate i morti erano ancora tutti là.
La chiesetta era metà distrutta, ma il campanile era ancora in piedi.

Nell'alluvione del 1966, quando è venuto dentro il Piave. L'acqua veniva dentro per i balconi e fuori per i balconi. La strada era come un canale con l'acqua che correva, e ha portato via le piante. Mia sorella, sul cortile, aveva il mastello con dentro la roba [biancheria da lavare]  e l'acqua lo ha portato via. Avevamo comprato dieci polli e sono morti tutti. Qua di fronte c'era un bel monumento, che aveva una gradinata, quello degli inglesi ... tutto portato via. Vede adesso cos'è rimasto? E molti vi avevano messo delle biciclette e delle motorette, sperando che fossero al sicuro ("votu che a porte via el monumento ?") ... e invece [l'acqua del Piave] ha portato via anche il monumento. E dall'osteria per venire fino a qua venivo con la barca di mio cugino Ruggero Vendrame, che ha sempre avuto la barca e che ci portava un tempo a lavorare sulle grave; ma qua molte famiglie avevano la barca.
Le grave erano di uno-due proprietari; la terra veniva lavorata. Vedesse adesso cosa hanno fatto in mezzo alle grave! Un albergo, trattorie. Prima, proprietario era Sartori Domenico, che affittava dei lotti e qua davanti c'era una gran tettoia in cui veniva messo dentro il fieno che si era raccolto nelle grave. Tutti avevano una vacchetta, un cavallino. 
Anche l'argine nel '66 è stato portato via; adesso l'hanno rimesso a posto.

Qua davanti erano stati messi una fila di cannoni e i tedeschi erano appena di là del Piave. 
Qua davanti era stato fatto un camminamento, tutto coperto.
Qua davanti, nella pesa, uno è rimasto nascosto finché è finita la guerra. Era uno dei nostri, e nessuno sapeva che era sotto là [?].
ll re [Vittorio Emanuele III] veniva "ogni matina" qua, e diceva a mio nonno: «Nonno, dove andate, che fra poco sparano», e il nonno gli rispondeva: «Eh sior, o da ciòr pagnoche [pagnotte] pa a vaca ... e poi ho anche tre bambine, e loro padre è soldato!».
Da qua i tedeschi tiravano al campanile di Maserada, perché era "brillante" ... e stando di là hanno ferito una nostra cugina, Maria Cion, che era a servire e le hanno ammazzato il cane.
I tedeschi nella grande offensiva sono riusciti ad arrivar fino al secondo argine.
Quando siamo ritornati a Salettuol c'erano gli inglesi per terra morti (vicino all'osteria).
Noi ci hanno messo a dormire nelle baracche, al ritorno.
Nell'ultima battaglia i nostri passavano tenendosi con una corda e i reduci che poi venivano qua (anche a visitare il monumento) dicevano che in quei momenti non era acqua, ma sangue che scorreva sul Piave. O forse era nell'offensiva... 
Viene tuttora tanta gente a visitare il luogo.
Al tempo della guerra anche di qua dell'argine era tutto bosco, come adesso si vede di là dell'argine.
Al ritorno tutta la zona era piena di buche, ma buche di quelle che dentro ci stavano case, specie in quella dietro l'osteria.
Poi questi morti li hanno sistemati in un gran cimitero in paese, a Maserada ... e dopo un capitano di Milano ha portato via una campana di San Rocco, e prima di morire l'ha restituita e per l'occasione è stata fatta una gran festa. Ma sono venuti i ladri e l'hanno rubata nuovamente. Anche il Santo è stato portato via e l'hanno trovato in mezzo alle grave.
Prima della guerra mio padre faceva il contadino: tagliava il fieno per il cavallo e le vacche.
Anche nei camminamenti e là nella piazzola del monumento c'erano gli inglesi morti, distesi per terra. Poi l'Associazione inglese ha scritto al comune di Maserada se poteva aiutarli a fare il monumento e il comune ha risposto di no.
Nostro padre si chiamava Massimo, la mamma Augusta Rossetto e avevano tre figlie.
Abitava con noi anche un altro fratello di nostro padre: Gregorio, sposato con Adelia Pozzobon. Anche loro avevano tre figli maschi più una femmina che poi è morta.

Gina. Mio marito faceva il camionista, si trovava a Chieti, si trovava sulla Forca del Caruso. Gli si è chiusa una valvola del cuore, aveva poca pressione (70) e poi gli è venuta la nefrite. Adesso lo avrebbero salvato, ma allora era il 1955. Faceva il camionista per uno di Catena di Villorba, e io sono rimasta vedova con due figli piccoli da crescere e in qualche maniera ce l'ho fatta. Ho venduto gli 800 metri di terra dell'eredità e intanto mia figlia Graziella è stata assunta alla Monti e mio figlio ha trovato lavoro come commesso alla SME.
Rina. Mio marito Luigi Tonini, invece, è morto da circa un anno e mezzo;  faceva il contadino.
Gina. Mio marito si chiamava Licini Elio. Era originario di Belluno. Lo avevo conosciuto mentre ero a servizio a Venezia. Avevo le tonsille che si erano gonfiate e mi hanno detto che dipendeva dall'umido di Venezia; bisognava operarmi. Così sono andata in una casa di cura a Treviso, in via Avogari e dopo operata mi hanno ordinato delle punture per "tirarmi su". Mia sorella era a servizio a Vascon, dai signori Caccianiga, vicino a Monti ... e Licini era autista dai signori Groppo di Treviso. 
Io andavo a farmi la puntura da mia sorella, da Caccianiga, e là ho incontrato questo chauffer che aveva portato i signori Groppo anziani, marito e moglie, in visita da Caccianiga. Quando ho suonato il campanello è venuto lui (Elio Licini) ad aprire e si è offerto di andare a chiamare la signorina Fortunata, mia sorella. Poi congedandosi mi ha detto: «Signorina, domenega vegno saludarla».
Io non ci ho badato, ma alla domenica sono arrivati dei signori in visita al monumento e mi hanno chiesto se ero capace di fargli la fotografia. Io ho detto  sì ... ma in quello arriva Licini, che si è offerto lui di scattare la foto e io dentro di me mi dicevo: «ma io quello lo conosco e non mi ricordo più dove l'ho conosciuto»...
Dopo lui è entrato in casa, ha incontrato mia madre e da là e iniziata la storia...

Nastro 1994/6 - Lato B

Rina. Ho lavorato 34 anni da Monti e c'era tanto rumore. Sono diventata sorda per quello. Tutti, dicono ... ora danno la pensione a causa della sordità, ora mettono le cuffie, ma non una volta... Io lavoravo nei telai, da Monti.
Gina. Io invece ho fatto sette anni a Venezia nella case dei siori.
Rina. Tutti gli altri operai di Monti hanno preso la pensione di invalidità, non io.
Io prendo un milione al mese di pensione, ma solo per il lavoro ... e di reversibilità per mio marito prendo 100.000 lire al mese. Era a Tarzo, in casa di ricovero e volevano due milioni al mese...
Da Monti, dapprima lavoravo a "bater le madasse" [...], perchè c'erano solo sei telai. Poi i telai sono aumentati e così sono passata sui telai a fare la tela. Partivo a piedi da Salettuol fino a Saltore e mia sorella Gina a mezzogiorno veniva a portarmi polenta brustolada, anche lei a piedi. Sempre polenta, mai pane. Mio padre andava a caccia sul Piave con dei signori e il signor Caccianiga (Guido, l'onorevole, fratello di Gino). Io chiedevo a mio padre qualche ciopéta de pan. «Se il signore mi dà un po' di soldi», rispondeva il papà...
E nel 1929 c'era la neve così e un passo lo facevo avanti e tre indietro, con una sciarpetta; altro che i paletò e la pelliccia che ho adesso.
Ho iniziato a lavorare da Monti da ragazza, e non ero neppure in regola. Eravamo 4-5 dipendenti: lavoravano anche tutti i padroni. Ho trovato il posto da loro perché i Monti venivano sul Piave - erano di casa - a passeggiare.
Ho iniziato a 13 anni, poco dopo la guerra. Mia madre prima ha chiesto ai padroni se potevano assumere sua figlia e loro le hanno chiesto: «È bella o brutta? Perché se è brutta mi resta, e se è bella si sposa e mi va via». Invece mi mi sono sposata vecchia lo stesso, perché i nostri genitori non volevano, perché avrebbero dovuto restare soli...
Ricordo che non avevo neppure la bici e dovevo andare a piedi, e partivo al mattino alle tre e mezza-quattro. Mia madre si alzava a farmi il caffelatte e abbrustolirle la polenta alle tre del mattino. Poi mi avviavo in compagnia con altre ragazze del luogo, estate e inverno. Non c'era turno di notte, però.

Nastro 1994/11 - Lato A

Aggiunte e precisazioni, 7 maggio 1994    

Domenico Franchin, di Zero, era scapolo e viveva con la famiglia, con altri fratelli più giovani.
La tettoia per il fieno era proprio davanti alla nostra casa, a Salettuol, dove ora c'è il campetto di gioco ed è stata costruita dopo la guerra grande dove prima della guerra c'era "la pesa", che è stata distrutta e non più ricostruita. Pesa che serviva per pesare i sassi del Piave che venivano poi portati alle fornaci, a Fagarè, a Spresiano verso Ponte della Priula. Dopo la guerra venne costruita una fornace vicino al secondo argine verso Maserada e quindi non serviva più la pesa.
I sassi del Piave ... non tutti erano idonei, venivano raccolti e poi venivano a prenderli con i cavalli e li portavano anche a Sant'Andrea di Barbarana. I raccoglitori erano soprattutto provenienti da Saletto. Qua del posto c'era nostro cugino Luigi Vendrame. Non c'era altro, per guadagnare qualcosa...
I cannoni erano stati messi sopra l'argine. [...] 
Proprio sopra la chiesetta di San Rocco è stata gettata una passerella dai tedeschi (nel giugno del 1918), ma in quello che stavano passando la passerella è stata colpita e i tedeschi sono caduti nel Piave: se ne sono annegati moltissimi.
I cannoni erano sopra l'argine ed anche a loro protezione erano stati messi dei sacchi di terra. C'era anche una scaletta, che noi abbiamo visto, per salire sull'argine.
Tutta la strada per andare a San Rocco era coperta con ramaglie. Era molto stretta allora.
Qua davanti a noi c'era tutta boscaglia, come di là del Piave.

Gina. Qua veniva spesso proprio il re, che domandava al nonno dove andasse e lui gli rispondeva che «aveva la vacca da varnar ... e ghe porte a casa un poche de pagnoche parché e fassa latte par che e tre toséte... »
Il re veniva ogni mattina, e il nonno quando ritornava a casa lo raccontava.
Rita Bertolini (Gemionite) veniva sempre là davanti per andar lavorare sulla grava.
Sull'argine vecchio (che poi è stato portato via dall'alluvione del '66) c'erano le barche; sia dietro al monumento che dietro alla chiesetta di San Rocco.
C'era anche el livèl dell'acqua [idrometro]. [...]
Qua c'era il passo a barca e c'erano due barcaioli che erano "i re dea Piave", e poi si sono annegati. Si chiamavano uno Vendrame Francesco e uno Vendrame Ermenegildo, conosciuti come Gildo e Memi, o meglio come Memi e Jijét.
La nostra famiglia non aveva soprannomi.
I nipoti di Memi e Jijét sono vivi. 
Gina ha una foto, però, di due signore francesi.
Il re: era picinin.
Inglesi morti: ce n'erano sia vicino alla pesa che vicino all'osteria. All'osteria ce n'erano di più.
Soldato nascosto: era dentro una buca sotto la pesa. Era uno di Maserada, vi è rimasto "tutta la guerra" e nessuno lo ha scoperto [?]. Pur essendo in prima linea è stato proprio bravo a star nascosto. Dopo la guerra si è venuti a sapere della sua impresa, dai nostri veci, ma anche lui lo raccontava; si chiamava Lovadina Emilio, il papà di quello della [...]

Rina. Nella prima guerra erano più buoni che nella seconda [guerra mondiale]. Quei quattro [fascisti] della Mas "i ghe voéa picài ... i féa ciapàr paura" alla sera. Si andava a Maserada, ci fermavano e ci prendevano la bicicletta. Venivano dentro e c'era mio padre nel cortile e c'erano i bambini che giocavano (anche i miei) e ... un tedesco vien dentro e dice: «tu dare bicicletta». «Kaputt ... c'è ruota» ... [che aveva lasciato segni per terra]. Io gli ho detto che era di mio marito che ora era a lavorare dalle officine Sartori. Allora il tedesco è entrato nel tinello e ha preso in mano la radio. Lui voleva portarla via, perché il marito la ascoltava di notte. Io gli ho detto che la radio non era mia ma di una signora e mi sono messa a piangere. Avevo il figlio in braccio. Mi sono messa a piangere perché se mi portava via la radio avrei dovuto pagargliela alla signora ... ma il compagno del tedesco gli ha detto di lasciar perdere. Allora voleva salame e io non lo avevo...
Sono stata a servir dai tedeschi, go fato sie mesi dai tedeschi a Maserada nella villa De Rossi, a Maserada Bassa. «Mi volevano bene, mi hanno sempre trattato bene e ogni quindici giorni mi davano il premio». Erano ufficiali ... era il comando, «erano meglio degli italiani».
La Mas ha colpito sul viso mio marito e anche quello di Gina.... Lavorava sui bunker, qua drio l'argine, a Maserada...
Gina. A mio marito hanno dato un pugno e gli hanno rotto il viso, poi gli hanno fatto levare le scarpe e lo hanno tenuto a Maserada da Segala (nell'osteria, in piazza). Vado là e lo trovo che pissava sangue dalla faccia e quelli dell'osteria gli avevano messo una benda...
Rina. Mio marito è stato legato e portato a Spresiano, eppure non era dei partigiani ... che però c'erano da queste parti, nelle case vecchie, sparsi nella campagna.
Questi partigiani volevano che si preparasse loro da mangiare e da bere.
Una volta, una sera, mio padre è andato a fare i suoi bisogni 'di grande' fuori nel campo e in quello si sono presentati in due con il fucile e gli hanno detto: «Cossa fatu qua? te vien scoltar». Era appena di là del monumento. Insomma e venuto dentro ed è andato in affanno; non eravamo più capaci di farlo rinvenire. Erano partigiani.
«I iera canaie, a Mas, i iera canàie ... e i tedeschi i iera boni». Poi venivano con questi carrettoni a prendere la roba...
D. Ma chi erano?
R. Tedeschi.
D. Ma allora erano tedeschi o partigiani?
R. I ièra insembrài, taliani e tedeschi i ndàva d'accordo...

La "leggenda" di Emilio Lovadina, rimasto nascosto in una buca a 50 metri dal Piave.
I nostri veci dopo la ritirata lo hanno visto.
Però non vi era rimasto un anno, ma ultimamente, quando «i iera rivài qua». Forse era prigioniero e si era nascosto qua quando i tedeschi hanno passato il Piave e sono arrivati fino al 2° argine.
Il re.
Il nonno quando tornava a casa diceva:
«Toséte, go catà el re».
«Cossa te àeo ita?»
«Nono ste casa che i ve copa!»...
Il cimitero di guerra a Maserada lo hanno fatto in piazza a Maserada, «su pal Calmagior». C'era un gran campo, vi hanno costruito attorno una mura e tutto ... e in mezzo vi hanno messo anche un gran faro, finché hanno levato i morti per portare le ossa nell'ossario di Nervesa.
A Zero Branco dove eravamo profughi passavano squadre di prigionieri austriaci pieni di fame e mia mamma un colpo le è capitato di fare 17 polente.

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